Racconti
Anniversario di un’avventura indimenticabile
Il racconto del generale Mario Arpino in un’intervista rilasciata a JP4 “Dossier F-104”, maggio 1978
29-07-2021 - Il 27 Luglio scorso è stato il ''giorno del 'compleanno'' della seconda vita del generale Mario Arpino che nel racconto descrive la sua avventura durante un volo di prova con l'F 104, da cui è uscito ferito, ma fortunatamente con la possibilità di raccontarla!
Ecco la sua narrazione:
Base aerea di Jever, Ostfriesland, 27 luglio 1964: volo di transizione su F-104F. Il programma prevede una salita a 37 mila piedi con postbruciatore e un tratto di accelerazione orizzontale a Mach 1.4, poi uno zoom fino a rientrare in subsonico e quindi una nutrita serie di manovre con circuito finale GCA. Il tempo è piuttosto brutto, 8/8 di nubi a 600 piedi e piove a dirotto, ma è normale qui a Jever, sul Mare del Nord, davanti alle Isole Frisone. Ed è normale anche per me, che vengo dall’F-86K, caccia “ognitempo”.
Siamo a Jever da un mese, per uno dei primi corsi di transizione sull’F-104 dopo quelli già effettuati a Norwenich, assieme a colleghi di altri reparti. In questa “Waffenschule 10” della Luftwaffe volano istruttori belgi, tedeschi, italiani e olandesi. C’è un po’ tutta la Nato. Si fa un gran parlare di questo Starfighter, è un aereo nuovo dall’aspetto inconsueto che di inconsueto ha anche le prestazioni, tanto che, dicono, sembra di volare su un X-15. Prendiamo il decollo, al primo volo l’istruttore avverte che nessun allievo riesce a retrarre il carrello prima di superare la velocità di rientro dei flaps. Io invece c’ero riuscito, ma concentrandomi solo su quella manovra, non avevo seguito bene né il controllo dell’incredibile accelerazione, né il raggiungimento della VR (velocità di rotazione,ndr), nè il distacco…
Ora sono al secondo volo e decollo da Jever con l’F-104F, leggerissima versione da addestramento: niente radar, piattaforma inerziale e autopilota, c’è solo il VOR/TACAN. Lascio l’A/B (Aftrburner, postbruciatore, ndr) inserito per la salita ed in un tempo incredibile, poco più di un minuto, arrivo alla quota di livellamento, a 37 mila piedi, spengo l’A/B, ma questo aereo sale come un razzo e così mi mangio altri 6-7 mila piedi: mi tocca rovesciarlo per fermare l’altimetro. Finalmente livello e comincio l’accelerazione, di nuovo A/B e subito il machmetro arriva a 1.4, via l’A/B, barra indietro per lo zoom: 45 mila piedi e via in discesa. Ora dobbiamo provare una serie di virate, estraggo i T/O flaps, che sono i flaps di manovra. Subito l’aereo comincia a ruotare a destra come impazzito. E’ incontrollabile. “Su i flaps!”, grida in cuffia l’istruttore, ma l’ipersostentatore destro è sbarrato, sembra essere uscito asimmetrico, forse si è sganciato e non rientra: il velivolo si avvita puntando il muso verso il tetto di nubi, che è a 20 mila piedi. “Parafreno!”, eseguo, sento lo strappo, il rollio sembra rallentare un attimo, poi riprende più veloce di prima.
“Bail out!”, è l’ultimo comando che mi da l’istruttore prima di eiettarsi, e deve farlo prima lui perché sull’F questa è la sequenza. La carica del C.2 posteriore esplode, penso di seguirlo subito dopo, ma il contraccolpo ha mandato l’F-104 in “g negativi” e così mi trovo sballottato contro l’abitacolo, mentre il velivolo gira attorno all’asse di rollio e si mette anche a rotolare. Durante l’abbassamento del muso, vedo il “radome” piegarsi davanti al blindovetro e staccarsi con una fuga velocissima, poi un violento scossone ed un rumore di ferraglia mi fanno capire che il motore si è disassato; poco prima (me lo diranno nell’inchiesta) si era sradicato quel flap maledetto, portandosi via la parte destra dello stabilizzatore e un buon pezzo di deriva. Del velivolo non rimane che questo troncone in cui mi trovo prigioniero, incapace di lanciarmi. Gli strumenti sono inservibili, non so né la quota né la velocità, ma ormai devo essere transonico.
Con l’indice sinistro, sfioro disperatamente la maniglia del C.2 (il primo tipo di seggiolino dell’F-104 aveva il comando di sparo tra le gambe del pilota, ndr), ma è troppo lontana e non riesco ad afferrarla, sono inchiodato alla parte sinistra dell’abitacolo dal violento “thumbling” del velivolo, sospeso per i “g negativi” e con le gambe sollevate in galleggiamento. Davanti a me vedo l’inutile leva di sgancio del tettuccio, mentre cado a più di 300 metri al secondo verso terra, sono ormai nelle nubi, ancora pochi secondi….
Due pensieri mi attraversano la mente in una danza frenetica, sono attimi eppure mi sembra di vedere tutto al rallentatore: “adesso mi schianto per terra, chissà cosa si sente… maledetta maniglia, non ci arrivo e invece questa qui è a portata di mano, inutile…”. Più i pensieri si rincorrono e più mi arrabbio per la situazione, poi, finalmente, riesco a infilare il braccio destro tra il collo e il tettuccio e puntando la mano contro il montante riesco a infilare il dito anulare sinistro alla maniglia, che è coperta dalla cloche, rimasta tutta indietro dopo il distacco della coda. Tiro il comando di sparo con quel solo dito, fratturandolo: ha funzionato!
Il buco nero della cabina si allontana rapidamente con il cruscotto, ho abbandonato l’abitacolo troppo scomposto, con le gambe alte e il collo storto, devo essere ferito, ma non sento niente, vedo solo buio e luce alternarsi velocemente; lo strappo della cinghia di collegamento mi allontana dal seggiolino, tra le gambe appare un tetto rosso che si ingrandisce veloce, troppo veloce, tiro con forza la maniglia. Il paracadute si apre facendomi oscillare paurosamente, devo essere basso, molto basso… il tetto rosso si ferma, ho la vista confusa, ma scorgo un canale sotto di me, tiro il salvagente e contemporaneamente mi scontro quasi di piatto con il duro asfalto. Il canale è invece un’autostrada e ci sono finito in mezzo: una macchina si ferma vicino con uno stridore di freni, a breve distanza scorgo il fumo dell’aeroplano che si è schiantato. Ho il piede destro disarticolato dalla caviglia, il casco mi ha escoriato la fronte, l’undicesima vertebra dorsale è spezzata (lo saprò poi), ma non sento alcun dolore, guardo solo la nera colonna che si eleva dal punto di impatto dell’F-104, felice di non essere là. I passeggeri dell’auto mi guardano con paura, e non capisco il perché, poi dalla casa arriva una ragazza con dell’acqua e uno specchio. Finalmente me ne rendo conto: la maschera si è spostata e il viso è rimasto esposto alla violenza della corrente, sono tutto nero con gli occhi rossi, è come se mi avessero dato un pugno con una mano gigantesca.
Mentre mi portano all’ospedale di Leer ho meno di un paio d’ore sull’F-104 e mi dispiace abbandonarlo così presto… ma ci rivedremo! Così è stato. La mia carriera di pilota intercettore si è conclusa solo nel 1970, con oltre 700 ore sul “cacciatore di stelle”.
Mario Arpino
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