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Riarmiamoci e partite
‘’La difesa europea comune è una grande cosa… ma non si vuole spender soldi però’’, fa notare il generale Burgio
17-03-2025 - Il deputato Benedetto Cairoli, due volte Presidente del Consiglio dei Ministri, ebbe 4 fratelli – Enrico, Ernesto, Carlo, Giovanni – caduti per l’unità d’Italia.
Non era certo un pacifista, avendo preso parte attiva a più spedizioni garibaldine, eppure ebbe a definire le spese militari “improduttive” quando si oppose in Parlamento alle scelte colonialiste di Francesco Crispi.

Peraltro che le spese militari siano “improduttive” è concetto non così pacifico, atteso che alcuni Paesi hanno fatto fortuna con le colonie, conquistate e sfruttate proprio attraverso l’uso della forza militare.
Una buona parte dell’’Italia, ad ogni modo, così la pensa, ed è dura da convincere.
Il rinnovato fervore militare scoppiato in Europa e il riarmo auspicato dall’Unione Europea non è un caso che la von der Leyen cerchi di indorarli facendo intravedere crescita e sviluppo industriale e creazione di nuovi posti di lavoro.
Che si creerebbero anche spendendo per scuole e sanità, questo va specificato onde evitare banalità.

A mio parere la discussione è quindi fuori binario.
Non è questione se sia opportuno o meno che l’Europa si riarmi, una volta acclarato che l’aiuto dello zio d’America non è più assicurato, e stabilito che della Russia di Putin non ci sia da fidarsi troppo.
Non doveva proprio giungersi a questo stato di cose, a questo sostanziale azzeramento delle capacità di deterrenza e reazione del Vecchio Continente.
Vecchio sotto ogni punto di vista. Ogni Stato avrebbe dovuto possedere credibile strumento militare e basta.

E non è solo questione di cannoni, aerei, radar, bombe più o meno intelligenti.
Il problema investe – in termini di qualità, ma anche di quantità – anche chi dovrebbe impiegarli. Qualsiasi discorso si avvii, in materia, si assiste sovente al fiorire di distinguo circa il fatto che “sì, va bene, la difesa europea comune è una grande cosa e ci vuole ora più che mai, ma soldi per le armi non se ne devono spendere”.
La nostra società è profondamente permeata di antimilitarismo militante, rassicurato per decenni dall’ingombrante – ma necessaria –presenza a stelle e strisce.
Non la si può trasformare con uno schioccar di dita, dopo averla resa sostanzialmente imbelle.

Dopo che chi indossa un’uniforme per difendere l’Italia, o garantirne la sicurezza, ha potuto ricevere i peggiori insulti, perdonati dai giudici perché espressioni artistiche (vedi il noto pezzo di Fedez sui figli di cani).
Dopo che calpestare la bandiera sul palco di Sanremo non ha causato l’emarginazione dalla RAI dell’“artista”, come invece avvenne nel 1984 all’attore Leopoldo Mastelloni per una bestemmia nel corso della lontana trasmissione “Blitz”, condotta da Stella Pende e Gianni Minà.
Che pagarono a lungo anche loro.

Per cui, prima di discutere quanti aerei, carri armati e fucili occorra acquistare, proviamo a fare i conti di quanti giovani d’oggi sarebbero disposti ad impiegarli.
Giovani che spesso la violenza sanno benissimo come esercitarla, ma la rifiutano se canalizzata, istituzionalizzata, condita da disciplina ferrea e senso del dovere. Quale deve essere in una struttura che si prepari a far la guerra.
Il fatto stesso che la von der Leyen abbia avuto necessità di far riferimento ai posti di lavoro prodotti dagli investimenti sulle armi la dice lunga.

Per questo nutro cospicui dubbi sul fatto che questa Europa possa davvero virare rotta di 180° e accettare il fatto che sia incontestabile verità che “Si vis pacem para bellum”.
E in uno scenario potenziale che non può escludere che uno dei grandi del mondo voglia far fuori la nostra libertà, non rimane che cercarsi un partner valido e capace, nell’attesa che qualcosa cambi in questa nostra società, e si inizi a pensare seriamente a ripristinare capacità militari adeguate.

Aver vinto la Guerra Fredda ha fatto particolarmente male all’Europa. Mentre gli Stati Uniti hanno continuato a gestire il loro potenziale per mantenere il ruolo di gendarme del mondo – oggi improponibile – i nani europei, tutti, unionisti e no, hanno solo pensato a sollazzarsi fra sedie a sdraio e poltroncine anatomiche.
Da ultimo, invece di restare sul carro del potenziale vincitore – atteggiamento forse sgradevole eticamente, ma almeno utile – ci siamo progressivamente arrampicati su quelli dei Gay Pride, smarrendo la rotta.



Carmelo Burgio
 
  


 
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