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Il difficile futuro della Striscia di Gaza
Accurata analisi del generale Giorgio Battisti sulla situazione attuale di Israele e Palestina
30-01-2025 - Nel corso della conferenza stampa tenutasi sabato 25 gennaio 2025 a bordo dell’Air Force One, il Presidente statunitense Donald Trump ha affermato che Giordania ed Egitto (nonché altri Paesi arabi) dovrebbero accogliere – temporaneamente – un maggior numero di Palestinesi della Striscia di Gaza per consentire di “ripulire” l’area dalle macerie provocate da 14 mesi di conflitto.
Ovviamente Amman e Il Cairo hanno rifiutato fermamente la proposta, malgrado le ottime relazioni con gli Stati Uniti, per gli aspetti attinenti alla sicurezza nazionale di entrambi i Paesi.
La Giordania teme verosimilmente l’insorgere di nuovi disordini che potrebbero mettere a rischio la stabilità della Monarchia Hashemita, tenuto conto che la popolazione palestinese presente nel Regno è di circa 3 milioni su di un totale di 11,3 mil di abitanti del Paese (dati 2023).
Sono ancora vivi i ricordi dei gravi problemi provocati, dopo la “Guerra dei Sei Giorni” del giugno 1967, dal consistente afflusso di profughi a seguito della repentina vittoria di Israele, che hanno costretto Amman a reprimere con la forza il tentativo di Yasser Arafat di sovvertire il Regno e creare uno stato palestinese (compresi diversi falliti tentativi di uccidere lo stesso Re Husain).
L’intervento, noto come “Settembre Nero”, ha visto la condotta di una lunga e cruenta operazione militare di oltre 10 mesi (settembre 1970-luglio 1971) per debellare l’insorgenza palestinese.
Diversa ma non meno critica è la situazione per l’Egitto, che ha dichiarato “fuori legge” i Fratelli Mussulmani, alla cui ideologia si richiama Hamas, che continua ad avere una forte presenza negli abitanti di Gaza.
Il Cairo ha realizzato recentemente nel Sinai sia un'alta barriera per impedire l'infiltrazione di Gazawi, qualora indotti da Israele a muoversi verso il confine egiziano, sia alcune tendopoli per accogliere eventuali sfollati.
Quello che potrebbe preoccupare l'Egitto, con la presenza dei Gazawi, è che l’IDF (Israel Defense Forces), che rivendica l'assoluta libertà d’azione per colpire i propri avversari (o ritenuti tali) ovunque ne ravvisi la necessità, possa lanciare attacchi contro Hamas nel Sinai, già interessato da una endemica insorgenza islamista nel nord della penisola.
Nonostante la possibilità di un declino dell'interesse globale del Canale di Suez, dovuta al terrorismo marittimo degli Houthi, la posizione geostrategica dell'Egitto, come vicino di Israele e della Libia e la sua “vista” sul Mediterraneo Orientale, conferisce a questo Paese una grande importanza nel quadro delle esigenze di stabilità in Medio Oriente per gli Stati Uniti e per l'Europa e della prevenzione dell'immigrazione clandestina.
Qualora il Presidente Trump confermasse i suoi intendimenti, l'unica opzione per la Giordania sarebbe quella di rifiutare, malgrado le forti pressioni che potranno essere esercitate sul Re Abd Allāh II, sebbene un sondaggio di Arab Barometer (Arab Barometer reveal findings from major Jordan survey) del 17 settembre 2024 riporti che la maggior parte dei Giordani percepisce il proprio Paese come il principale difensore dei diritti dei palestinesi (66%).
L'Egitto, invece, ha due possibilità: rifiutare o accettare, a seconda del livello di pressione della Casa Bianca.
In caso di accoglimento, il Cairo potrebbe in alternativa:
1. mantenere i Gazawi nei campi profughi nel Sinai; una collocazione che può ingenerare una situazione molto pericolosa, tenuto conto sia di possibili ritorsioni israeliane (qualora Hamas riprenda le azioni terroristiche) sia delle tribù beduine che non gradirebbero la loro presenza;
2. distribuire i Gazawi in tutti i governatorati e le città del Paese, come l'Egitto ha già fatto con altri rifugiati provenienti dalla Siria e dal Sudan.
Nonostante la difficoltà da parte de Il Cairo di dover controllare i Gazawi nella seconda opzione, l’alternativa appare relativamente più sicura e meno incidente sulla sicurezza della regione.
Al di là delle affermazioni provocatorie del Presidente Trump, rimane il grande problema della ricostruzione di Gaza, che risulterebbe ulteriormente complicato con la presenza sul posto degli oltre 2 milioni di Palestinesi, che dovrà articolarsi in linea di massima in più fasi:
- sgombero delle macerie;
- realizzazione della rete urbana dei servizi;
- ricostruzione dei centri urbani.
Una recente valutazione dei danni effettuata dalle Nazioni Unite (OCHA Humanitarian Situation Update #259) stima che lo sgombero degli oltre 50 milioni di tonnellate di macerie dovute ai bombardamenti potrebbe richiedere 21 anni di lavoro e costare fino a 1,2 miliardi di dollari (oltre ad individuare preventivamente l’area o le aree dove concentrare tale mole di macerie).
Un intervento reso ancora più complicato dalla presenza di ordigni inesplosi (almeno 10 anni di interventi di bonifica) e di altri materiali pericolosi (amianto, ecc.) e di numerosi resti umani.
La World Bank ha, inoltre, stimato in almeno 18,5 miliardi di dollari il costo dei danni alle infrastrutture critiche di Gaza secondo un rapporto pubblicato il 29 marzo 2024 (Gaza strip - Interim Damage Assesment); una cifra sicuramente superiore allo stato attuale delle distruzioni.
Giorgio Battisti
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