L'intervista con...
Gelo con gli Emirati
Con il generale Mario Arpino abbiamo avuto un interessante colloquio sul caso Emirati Arabi-Italia
06-07-2021 - Vogliamo ricordare quanto avvenuto l’8 giugno scorso, in occasione del volo del Boeing KC con a bordo 42 giornalisti italiani che da Pratica di Mare si recavano ad Herat, per assistere all’ammaina bandiera simbolico della chiusura della missione afghana. //www.cybernaua.it/photoreportage/reportage.php?idnews=9364Il piano di volo prevedeva il sorvolo dello spazio aereo emiratino; ma, nell’avvicinamento agli Emirati, improvvisamente giungeva il diniego al sorvolo. Una tale questione avrebbe sollevato quantomeno qualche motivo di discussione da parte di un governo verso gli EAU, una richiesta di spiegazione, un invito a scusarsi... ma nulla di tutto ciò da parte del governo italiano, come riferiscono i giornali emiratini.
Con il generale Arpino cerchiamo di approfondire quanto accaduto e perché sia accaduto
Generale, dopo i noti eventi che riguardano l’applicazione secca della legge 185/90, il ghiaccio con gli EAU non accenna a sciogliersi. Eppure qui da noi, a livello governativo e parlamentare, la cosa sembra incontrare scarso interesse. Che sta succedendo?
“Succede che, come spesso accade quando ci sarebbe da intervenire per tutelare l’interesse nazionale e la credibilità del nostro Paese, ci lasciamo scivolare sopra ogni cosa, continuiamo ad affannarci nelle nostre quotidiane partite interne e perdiamo di vista l’importanza di gestire il problema con energia, magari anche alzando la testa digrignando i denti. O, se è più appropriato, chiedere subito scusa, senza lasciare incancrenire il problema facendo passivamente lo gnorri. Ci vuole coraggio anche per chiedere scusa, non solo per mostrare la grinta. Ma questo coraggio, sinora, noi non lo abbiamo trovato. D’altro canto, ormai sarebbe inutile. E’ troppo tardi e, ancora una volta, bisognerà ricominciare da capo. Ma ci vorrà del tempo. Solo i nostri soldati ci hanno salvato la faccia, obbedendo dignitosamente agli ordini e lasciando in buon ordine un Paese amico dopo un perfetto ammaina-bandiera”.
Lei parla di “Paese amico”, però ci hanno cacciato in malo modo, senza troppi riguardi o scambi di cortesie, almeno formali. Come la mettiamo?
“Ha ragione, sembra un controsenso. Ed è vero, in certi Paesi tutto può diventare controsenso, o apparire come tale a chi non ne conosce la storia, l’indole e la ritualità del buon vivere quotidiano. Chi ci vive e ci lavora ha imparato da tempo che i rapporti della giornata, a volte, possono anche dipendere esclusivamente dal modo e dalla convinzione con la quale si pronuncia la parola “buongiorno”, o il suo equivalente locale. Invece, in epoca di “uno uguale uno”, non è affatto detto che il deputato del partito X, magari ideologizzato con sani quanto utopistici principi universali, quando si alza e propone la risoluzione Y si renda ben conto delle caratteristiche del terreno di coltura nella quale andrà a cadere. Se poi qualche membro del Governo, per non alterare equilibri politici interni e di gruppo si affretta a raccogliere quella risoluzione ordinando monocraticamente ai suoi pur preparatissimi tecnici di applicarla con immediatezza e senza un istruttivo confronto, ecco che la frittata è fatta e servita. Verosimilmente, ciò è proprio quello che è accaduto il 21 gennaio di quest’anno, quando il Governo uscente, dopo una semplice risoluzione di dicembre, ha annunciato attraverso social e fanfare (ma senza darne informazione preventiva agli interessati) lo stop di alcuni contratti “militari” con Arabia Saudita ed Emirati”.
Certo, non si finisce mai di crescere e dopo 160 anni di attività parlamentare e di Governo non abbiamo ancora imparato tutto. I tempi sono cambiati e lo posso anche capire. Ma veniamo al sodo: secondo lei, il rapporto con questi Paesi, Emirati in testa, è ormai danneggiato in modo permanente?
“Nulla si può escludere, specie in Medioriente. Certo è che, al momento, vediamo sfumare colpevolmente un interscambio di quattro miliardi di dollari. Non sarà molto, ma andranno in tasca a qualcuno che, senza dubbio, più introdotto di noi nelle cose del mondo è già pronto a subentrarci nel business. Dobbiamo però ricordare che parliamo di uno stato dinastico, monocratico, dove è la volontà dello Sceicco a dettare legge. Anzi, è la legge. Se questa volontà di reazione punitiva totale risale al Sovrano, temo che per il momento non ci sia nulla da fare. Altri, anche in loco, cercano di buttare acqua sul fuoco, ed anche questo va interpretato. Per esempio, il mese scorso l’analista emiratino Abdul Khadeq Abdullah, professore di Scienze Politiche all’Università di Abu Dhabi, rispondendo ad un’Agenzia ha affermato che tra Eau e Italia le relazioni sono solide, e “…anche se tra i due Paesi ci sono piccole divergenze, non credo che dobbiamo preoccuparci troppo. Non penso che questo incidente possa causare grossi problemi o danneggiare seriamente i rapporti”. Sarà stato un messaggio cifrato? Personalmente non ho dubbi, tanto più che il professore ha continuato dicendo che il Governo italiano “…dovrebbe dimostrarsi più attento alle nostre necessità (….). I vostro nuovo Governo dovrebbe essere sensibile, perché puoi comprare armi ovunque e noi abbiamo amici dappertutto…”. E’ chiaro, sempre a mio modesto avviso, come dopo quasi sei mesi dal taglio improvviso del contratto , Sheikh Mohammed si aspettasse dall’Italia un colloquio a livello paritetico, come minimo a livello di Presidente del Consiglio. Ma tutto ciò sinora non è avvenuto, e le ritorsioni piccole e grandi, come stiamo osservando, continuano ogni volta che se ne presenta l’occasione. Non sarà una guerra, ma…”
Generale, in definitiva, secondo Lei chi ha torto e chi ha ragione?
“A mio avviso bisogna distinguere tra questioni di merito e questioni di modi. Il problema è che rischiamo di aver torto in tutti e due i casi. La 185, è vero, prevede che non si debba fornire materiale di armamento a Paesi che sono impegnati in azioni belliche. Però gli Eau avevano cessato le operazioni in Yemen da un paio d’anni e, in ogni caso, non si trattava di materiale bellico, ma di parti di ricambio per i Macchi 339 della loro Pattuglia Acrobatica, simbolo della loro bandiera, e, tra l’altro, costituita ed addestrata con la nostra diretta assistenza. Offesa grave, quindi, immotivata e – dal loro modo di sentire – anche una sorta di “tradimento”. C’è anche da dire che, nonostante il nostro rapporto sia ben consolidato da più di una trentina d’anni (durante la guerra del Golfo i nostri Tornado hanno operato da una base nel deserto a ovest di Abu Dhabi), non è la prima volta che tra noi e loro si origina un contenzioso. Ricordo che nel 1995, un sistema lanciarazzi progettato e venduto da una nostra ditta era scoppiato, facendo alcune vittime. L’accusa “non rispettavano gli standard di contratto per le alte temperature” trovava come conto accusa “siete voi che li avete usati male”, come su un tavolo da ping-pong. Alla fine, stanco di queste polemiche, Sheikh Mohammed ha chiuso ogni rapporto con le ditte italiane fatta salva una sola, che si interessava di elettronica, rimasta nell’elenco di fiducia. Anche qui, anni per ricucire, ma ce l’abbiamo fatta. E’ venuto poi il problema del salvataggio della Piaggio, da loro tentato, ma poi lasciata alla deriva per le nostre difficoltà di rendere operativa una versione militare senza pilota del bimotore P-180. Alla fine hanno rinunciato alla loro opzione su un certo numero di questi velivoli, hanno lasciato il programma e se ne sono andati. Il caso della loro partecipazione maggioritaria in Alitalia, che nonostante un discreto supporto di capitali ha continuato a perdere a causa di mismanagement precedenti, è dei giorni nostri e non è il caso di parlarne”.
E allora?
Dopo la questione Alitalia, dove si erano trovati a pagare i conti di chi, nella gestione precedente, aveva contrattualizzato il noleggio di parte della flotta di Airbus con costi fuori mercato, è infine arrivata senza preavviso la doccia fredda del presidente Conte e del ministro Di Maio, come sempre indaffaratisimi sul fronte interno e, evidentemente, molto meno attenti su quello esterno. A questo punto, siccome la vendetta va consumata fredda, gli amici emiratini non lasciano perdere alcuna occasione per disturbarci con ritorsioni grandi e piccole, di cui la cronaca si prende sollecita cura. Ma questa volta, chiedendo scusa a Cybernaua, una domanda la voglio fare io. Eccola: “Ditemi. Voi, al posto di Sheikh Mohammed bin Zayed al Nahyan, a questo punto cosa avreste fatto?”
Maria Clara Mussa
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