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foto di: archivio Cybernaua
Immunita’ al bon ton
''Però alcuni meriterebbero almeno un paio di belle pedate nel fondo schiena…’’ avverte il generale Burgio

10-02-2025 - L’immunità parlamentare è diritto sacrosanto. Introdotto perché nel dibattito politico chi rappresenta la volontà degli elettori deve essere libero di esprimere le proprie opinioni, senza temere manette vendicative.
Mai mi augurerei che venisse eliminato, perchè è posto a garanzia della mia libertà, e di tutti i fortunati o sfortunati figli di questa Italia, di votare anche per un perfetto imbecille, articolo che non manca mai sugli scaffali del discount della politica.

Ma quel che si è visto in Parlamento durante la cosidetta discussione del “caso Almansry” tutto era meno che esercizio del diritto di esprimere le opinioni.
Qui l’immunità ha coperto un’inveterata pulsione all’insulto e al turpiloquio, guidata da rabbiosa assenza di poltrone da affidare a parenti e amici.
Che è un bel dramma se ci sei stato abituato da lunga pezza. Ma tant’è. C’è questo diritto quindi, nessuno ha detto che non son compresi nella tutela i narcisistici esercizi di comunicazione degni di teatrino d’avanspettacolo.
Tutti hanno il diritto di provare a far ridere, già: oltre al diritto all’eleganza c’è quello di tentare di essere un comico.
Poco importa se registi che si son avvalsi dell’arte di Totò, Tina Pica, Alberto Sordi, Carlo Verdone, etc., mai gli avrebbero dato una particina.

Qualche commentatore migliore di me ha notato che, chiesto al governo di riferire in Parlamento, si son presentati col discorso pronto: inequivocabile segnale che non avessero necessità di conoscere le ragioni di una scelta politica, che legittimo è criticare.
Volevano solo attaccare con livore degno di portinaia parigina tutto ciò che era a loro avverso, fidando nella diffusione delle immagini per infiammare i propri elettori, e nell’oblio di passate analoghe scelte.
Quelle che ogni governo fa in base alla regola “dell’Embè?”. Ovvero “OK, magari hai ragione, le norme son queste, ma io faccio così perché il possesso del potere me lo garantisce”.
Ma forse il punto non è neppure questo.

In quell’urlare, con conigli e omini di burro che saltavano fuori dal cappello del cappellaio matto di Lewis Carroll dell’immortale Alice nel Paese delle Meraviglie, si arrecava il peggiore insulto anche all’elettore italico. Ritenuto, di massima, meritevole di questo spettacolo.
Che vuol dire che è considerato imbecille – nella migliore delle ipotesi – pari a chi ha eletto. Perché per quanto vi sia un sovraccarico d’informazioni, e si debba essere sintetici e parlare per concetti semplici, qui si è raggiunta la quintessenza del comunicare per idioti.

Ci si è dimenticati che l’elettore manda qualcuno che ritiene di elevato livello in Parlamento, perché parli a suo nome a persone di altrettanto superiore livello, non perché lo faccia sbellicare di risa. Per quello gli basta un cinepanettone.
Se vede certe scene magari potrebbe pensare che chi ha mandato non sia d’adeguato altissimo livello. A quel punto magari ce lo manda, ma da qualche altra parte, a condizione ci resti.
Alla fine un tale spettacolo legittima il governo ad andare a riferire in Parlamento, e nulla riferire, perché nulla interessa ciò che riferirà. OK, lo so, gioco di parole degno del divino Peter Gabriel dei primi Genesis.
In definitiva ci si convince che, oltre che immuni alla sanzione penale, pure quando meriterebbero almeno un paio di belle pedate nel fondo schiena, son diventati immuni pure all’educazione una volta avuto accesso in quegli scranni che videro accomodarsi Nenni, Pertini, Andreotti, Fanfani, Moro.
Alla fine ci si convince che l’unica cosa che conta son stati i risultati elettorali, e bene fa chi governa ad optare per una gestione in chiave Marchese del Grillo – io so’ io e tu ‘n sei ‘n c… – in ogni questione.

Nella certezza che l’oppiosuzione non sia in grado di apportare alcun contributo serio al dibattito dei dialoghi dei massimi sistemi che dovrebbero interessare un Parlamento.
Addio quindi a quei “Governi Ombra” di un tempo. Che qualcosa sapevano concepire.


Carmelo Burgio
 
  
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