Da Roma alla terra degli aquiloni
Per onorare la memoria dei caduti italiani in Afghanistan un convegno al Campidoglio, Roma
fotografie di: Giuseppe Lami
02-03-2019 - Davanti ad una platea costituita da alcune famiglie dei caduti italiani in Afghanistan ai quali tutto il pubblico intervenuto ha dedicato un minuto di silenzio per onorarne la memoria, venerdì 1 marzo scorso, nella sala della Protomoteca del Campidoglio a Roma, si è celebrata la memoria delle 54 vittime a cui Chiara Giannini giornalista de Il Giornale, ha dedicato il suo primo libro “Come la sabbia di Herat”.
L’apertura della cerimonia di commemorazione, dopo il benvenuto dell'on. Maurizio Politi, è avvenuta tramite un video che Daniel Papagni, fotoreporter di guerra per Cybernaua.it, aveva composto alcuni anni fa in occasione dell’inaugurazione nel piazzale del Quirinale, della grande lapide recante i nomi di tutti i 54 caduti, //www.cybernaua.it/video/video.php?idvideo=100, sulle note di una canzone composta da Marco Servadei.
La commozione era tangibile nella sala, ove il pubblico ha ascoltato e seguito con emozione ed attenzione i vari interventi.
Il generale Pasquale Preziosa, già Capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare, dopo aver invitato al minuto di silenzio per onorare i ragazzi, ha letto la commovente lettera di Matteo Miotto, caduto il 31 dicembre 2010, in cui il giovane soldato esprimeva i valori e il credo nella Patria; l’avvocata Elisabetta Aldrovandi, presidente dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime, si è detta commossa di fronte al dolore delle famiglie e allo spirito di sacrificio che permea coloro che si accingono ad affrontare difficili percorsi per difendere Patria e libertà; Fabrizio Santori, del direttivo coordinamento Lega della Regione Lazio, ha espresso la propria ammirazione per quanto i soldati sono pronti a fare, dando tutto di sé.
Anche le parole del papà di Luca Sanna e del papà di Tiziano Chierotti, hanno colpito al cuore per la serenità che non è rassegnazione, ma consapevolezza del valore dei propri figli.
E a chiusura, sotto le note del Canto degli Italiani, Annarita Lo Mastro, la mamma di David Tobini ha letto i nomi di tutti i giovani che in Afghanistan hanno lasciato la propria vita.
Un particolare saluto ha voluto dare il giornalista de Il Messaggero, Mirko Polisano, che nel proprio intervento ha ricordato le indimenticabili esperienze in Afghanistan ove ha partecipato come giornalista embedded insieme a Daniel Papagni.
Parliamo di Afghanistan
In Afghanistan l’Italia, insieme agli altri Paesi della coalizione che nel 2001 dettero l’avvio alla missione cosiddetta di pace, ha dato molto.
OEF (Enduring Freedom), Isaf, (International Security Assistance Force) RS (Sostegno Risoluto), le missioni che si sono susseguite dal 2001 ad oggi.
I 54 caduti nostri li ricordiamo tutti: li abbiamo attesi all’arrivo dei C130 che li riportavano in Patria, abbiamo pianto insieme ai loro cari, abbiamo partecipato a commoventi manifestazioni dense di dolore e di rabbia; meritano di essere ricordati, ma soprattutto onorati.
Loro hanno dato la vita, insieme a colleghi di ogni nazionalità, affinché un Paese come l’Afghanistan potesse ottenere pace e governo democratico.
Ed ora, che gli Americani hanno deciso di ritirare le proprie truppe, vorremmo fare alcune considerazioni sulla possibile realizzazione di tale tempo di pace auspicato e rincorso con il sangue.
Un sogno che soprattutto le donne afghane (e ritengo ne abbiano tutti i diritti) inseguono tra sofferenze e privazioni.
Da qualche mese l’ex ambasciatore Zalmay Khalilzad, l’uomo incaricato da Trump di gestire “la pace in Afghanistan”, discute in Qatar al tavolo con i rappresentanti dei Taliban, guidati dal mullah Baradar, definendo gli incontri produttivi.
Nel contempo il Presidente dell’Afghanistan Ashraf Ghani è intervenuto alla conferenza nazionale delle donne, a Kabul, definendo tale congresso un fatto storico; le donne sono una forza di cambiamento positivo nel Paese.
“Non siete più vittime di decisioni sul futuro dell’Afghanistan", ha ripetuto Ghani "Nessuno può imporci la pace. Una pace che non è sostenibile è respinta”.
Anche la first lady Rula Ghani ha parlato: “Tutti gli Afghani chiedono pace e l'evento di oggi punta anche a porre fine alla guerra”.
Che gli Americani vogliano terminare la lunga estenuante operazione nel Paese è da tempo risaputo, come è intuibile la sensazione che, se il ritiro avviene senza aver ottenuto dalla controparte talebana delle garanzie di pace, il risultato dell’intera missione viene sminuito, non solo, ma potrebbero ripetersi anni di guerra e certo non un ritorno solo per proteggere gli Afghani dalle violenze dei Taliban
E i Taliban non sono ingenui: discutono ad un tavolo a cui partecipano coloro che avendo già deciso di andarsene cercano un’uscita dignitosa, ma già decisa.
Riporta in una sua analisi recente Claudio Bertolotti, ricercatore e analista di Start Insight: "In Afghanistan continuano ad aumentare i morti civili, le cosiddette vittime collaterali. L’allarme lanciato attraverso la pubblicazione a febbraio 2019 del report della missione dell’Onu in Afghanistan, l’Unama, accende i riflettori su statistiche che descrivono il dramma di un intero Paese.
Nel complesso, nel 2018 sono aumentati i morti civili; un aumento significativo rispetto ai dati dell’anno precedente, l’11 percento in più di morti civili (3.804 morti, di cui 927 minori, e 7.189 feriti): la conferma di un trend in progressivo aumento. Diminuiscono, per contro, le vittime tra le donne e i bambini, ma si tratta di una riduzione quantitativa che parte da cifre estremamente elevate.
La maggior parte delle vittime, il 63 percento (2.243 morti) secondo Unama, è conseguenza delle azioni dei gruppi di opposizione armata: 37 percento talebani (1.348 morti), 20 percento gruppo Stato islamico-Khorasan (681 morti) e 6 percento altri gruppi. Gli attacchi suicidi e quelli con ordigni esplosivi improvvisati (Ied – Improvised Explosive Device) sono le tecniche che avrebbero provocato la maggior parte delle morti: il 42 percento (26 percento i soli attacchi suicidi”.
Dunque, se la coalizione ritira le truppe dall’Afghanistan, lasciamo un Paese di cui non si potrà neppure dire “stabilizzato”.
Maria Clara Mussa
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