''Defence 5+5 Initiative'' un ponte tra i parlamenti dell’area del mediterraneo
Un confronto tra esperti, alla presenza della ministra della Difesa Trenta, sull'importanza di dare maggiore visibilità alle questioni che riguardano tutti i Paesi bagnati dallo stesso mare
fotografie di: Cybernaua
10-02-2019 - E’ un’iniziativa tutta italiana, quella di ampliare la già solida alleanza tra i 10 ministeri della difesa dell’area ovest mediterranea (Defence 5+5 Initiative), ai rispettivi parlamenti tramite le commissioni estere. Prefiggendosi un allineamento delle rispettive agende parlamentari interne, in contesto molto più amplio dei temi stessi relativi alla difesa.
E martedí 5 febbraio scorso, è nato il primo incontro promosso da 3 parlamentari del movimento 5 stelle: Simona Suriano, Pino Cabras e Luigi Iovino, organizzato nell'auletta parlamentare a Roma.
Al quale hanno partecipato il ministro della difesa Elisabetta Trenta, il vice ministro degli esteri Emanuela Del Re, l’ambasciatore libico Omar Abdelsalam al Tarhouni, il presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea Nato Luigi Iovino, Claudio Bertolotti, ricercatore senior presso la "5+5", Andrea Carteny, coordinatore della ricerca 2018, e il giornalista de La Repubblica Paolo Cadalanu e varie delegazioni diplomatiche.
L’obiettivo del convegno è di estendere l’iniziativa a livello interparlamentare tra gli stessi Paesi del programma 5+5 Defence in tema di cooperazione internazionale e gestione dei fenomeni migratori affinché l’istituzionalizzazione del dialogo diventi un momento di condivisione di buone pratiche e di abbattimento delle distanze tra popoli a stretto contatto
L’attuale accordo già operativo 5+5 è un forum di collaborazione nato nel 2004 che prevede un’ampia collaborazione su vari fronti, come soluzioni e progetti di cooperazione comune, in particolare nei settori della sorveglianza marittima, aerea ed operazione congiunte antiterrorismo nel bacino ovest del mar Mediterraneo.
Ogni anno, vengono approvate dai ministri della Difesa dei Paesi membri attività che mirano ad aumentare la mutua conoscenza, condividere strategie di contrasto alle comuni minacce e promuovere l’interoperabilità tra le Forze Armate dei diversi Paesi. Il Piano d’azione approvato per il 2018 consta di 44 attività, 16 delle quali saranno a guida italiana.
Ma vediamo quali sono i soggetti coinvolti.
L’alleanza sul fronte nord (coste europee) è composta da: Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Malta
Mentre sul fronte sud (coste africane) è composta da: Algeria,Marocco,Tunisia,Mauritania, Libia
Omar Abdelsalam al Tarhouniha rilevato il ruolo fondamentale che questo progetto comune ha attualmente tra le sue priorità: la stabilizzazione tattica della Libia, il Paese attualmente più sofferente in difficoltà dell’alleanza, logorato da una ormai lunga guerra civile e da traffici illegali di esseri umani, armi, droga e petrolio. Per questo motivo alla Libia è stata affidata la presidenza del ‘’5+5’’ dal 1 gennaio 2019.
Il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha fornito un ampio quadro generale sulla situazione in cui l’alleanza deve operare, indicando il bacino mediterraneo come una fonte di grandi opportunità, limitato dalle minacce e dall’instabilità.
Indicando come compito primario quello di prevedere e capire l’evoluzione degli eventi in gioco e non subirli, come accaduto con le primavere arabe, prima individuate come eventi positivi e poi appurati negativi, perché non erano stati né previsti né gestiti in un ottica strategica a lungo termine.
Il fenomeno migratorio non è un’emergenza momentanea, ma complessiva: generata da conflitti, strutturale, strategica e contingente; composta da migrazioni economiche, climatiche, sociali.
Lo scopo di questa alleanza è quello di unire due rive di uno spazio geopolitico eterogeneo in osmosi.
Nel 2018, sono state svolte esercitazioni congiunte che hanno visto l’impiego di 2643 militari, 27 aerei,12 navi, tra cui anche le rispettive forze speciali dei 10 Paesi. Generando 160.000 contatti.
Ora, l’alleanza si trova a dover fronteggiare lo scenario più difficile ed instabile degli ultimi 20 anni, in cui il fenomeno migratorio va gestito in chiave da quotidiano a strategico.
Il documento finale esposto dall’analista Claudio Bertolotti è stato sviluppato in 3 anni di lavoro, con un approccio non politico, ma tecnico/operativo e strategico/analitico, che non sempre convergono
Le questioni affrontate sono state: rompere il legame criminalità/immigrazione, instaurare un dialogo/confronto su tematiche politiche e licenziare un documento che concili diverse visioni nord/sud.
Il progetto si è sviluppato su 3 assi: -Minacce/vulnerabilità -Approcci regionali -Cooperazione sicurezza 5+5 (azioni da intraprendere)
I flussi migratori si svolgono su varie direttrici, quella occidentale africana, quello verso la Spagna e quella primaria verso l’Italia.
Ha avuto una vera e propria ‘’esplosione’’ dal 2014 ad oggi con un incremento della minaccia esponenziale dovuto al rientro dei foreign fighters ed al fenomeno emulativo dei lupi solitari.
Il traffico principale si articola nel settore centrale Tunisia/Libia verso l’Italia per il 96% ed è composto da traffico di armi, droga, petrolio e beni archeologici rubati, portando ad un guadagno stimato in 250 milioni di dollari, come evidenziato dal rapporto congiunto delle varie intelligence dello scorso febbraio.
Attraverso 2 principali modalità: con piccole imbarcazioni private (che giungono direttamente fino alle coste siciliane/sarde) con una rete di collaborazione con varie organizzazioni criminali tunisine in grado di fornire documenti falsi; e di massa, con barconi senza riuscire a raggiungere ne le coste ne le acque territoriali maltesi/italiane.
Lo studio ha evidenziato che emergono varie esigenze primarie da realizzare congiuntamente, in primis aree strutturali nelle quali riunire tutti i flussi migratori per impedire l’utilizzo esclusivo di organizzazioni criminali; coinvolgere in modo attivo la NATO carente sul fronte Sud ed infine accedere ai fondi del bilancio UE -2012/2027 per lo sviluppo delle aree più povere a sud.
Il vice ministro Emanuela Del Re evidenzia come la macro area che ruota intorno al bacino mediterraneo dei 10 Paesi aderenti coinvolga 500 milioni di persone ed un PIL energetico altissimo, compreso nella blue economy e nel traffico marittimo, sviluppando la cosiddetta ‘’dieta mediterranea’.
Su essa hanno già gravitato importanti progetti della comunità europea per la cooperazione internazionale, come l’EDF European Development Fund che è stato ripartito nelle sottospecie West Med, Blue Med (coop Marittima) e PRIMA.
Con circa 49 missioni in Maghreb a carattere archeologico, hanno coinvolto 400 mila studenti. Anche in Libia, con varie Ong l’operazione Water Med In ed un progetto di salute ambientale a Tripoli. E ricchi investimenti portati dalle nostre big ENI ed Enea. Bisogna portare avanti una politica di economia circolare e di sviluppo sostenibile in queste aree che devono ancora crescere molto, questo è il messaggio portato dall’Italia al Forum Egitto/Libia del 2018 e nel summit ‘’Rive di Marsiglia’’; 5+5 rimane l’unica soluzione rispetto ai progetti della zona est falliti, come la conferenza di Rodi organizzata dalla Grecia.
Il grande problema è che il Mediterraneo non è mai stato una priorità per l’Europa che guarda solamente ad Est da ormai 20 anni, ed è sempre stata malata di ‘’bilateratismo’’ tra i singoli stati e sempre affrontato le questioni in una logica Nord/Sud. Per poter ottenere risultati vincenti le 10 nazioni coinvolte devono rafforzare questi principi: Stabilità internazionale, Sviluppo economico, Sicurezza, Scambi commerciali, Coesione (un bilateratismo organizzato ed allineato fra i membri stessi).
Ed il suo sviluppo va ampliato non unitamente alla somma delle 2 rive, ma deve intraprendere un processo più amplio, dai 5+5 (dinamiche interne) ai 5+5 rispetto la politica UE(fondi bilaterali) ed infine ad una cooperazione 5+5+Ue+Africa; implementando i commerci e non gli aiuti.
Riassumiamo quanto esposto dagli onorevoli Simona Suriano, Pino Cabras e Luigi Iovino, secondo i quali, mentre l’agenda estera imposta dal mainstream impegna tutta la UE a dover prendere posizioni su attentati alla democrazia, come in Venezuela, dove più di 17 miliardi di investimenti sono contesi tra Russia e Stati Uniti, non si guarda invece agli Stati a noi attigui che influenzano con atti continui la nostra politica interna ed estera con i problemi annessi.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, l’Italia ha perso completamente la gestione economico/sociale nelle relazioni internazionali con la sponda sud (ad eccezione della Libia fino alla morte di Gheddafi). Questo ha portato l’Italia ad un isolamento completo dal 2011 in poi, favorendo altri Paesi nostri alleati della sponda nord, che continuano a sabotare sistematicamente con ricatti i tentativi di riunione, abbandonando l’Italia nelle crisi con esse.
L’Italia, invece di poter gridare alla comunità europea ed internazionale l’affronto avuto dal governo egiziano di Al Sisi sul caso Regeni, è chiamata ad accodarsi silenziosamente contro un nemico lontano (il Venezuela) in nome della democrazia; e non condanna le ripetute violazioni dei diritti umani in Libia, Egitto, Turchia, Arabia Saudita, Yemen, Siria, perché sono governi in affari con gli stati del nord Europa.
Valerio Chirri
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