La pace in Siria pare lontana
Nello scacchiere mediorientale sono molte le forze politiche internazionali a voler assumere il ruolo di protagonista nel controllo della situazione, ne parla Matteo Bressan
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23-01-2019 - La Siria pare non trovare pace.
Sul Paese si scontrano le politiche di Iran Turchia, Russia; persino la Cina pare avere interesse a metterci del suo.
E’ di queste ore la notizia di un altro bombardamento, avvenuto domenica 20 gennaio scorso, da parte di Israele, che ha provocato reazione da parte iraniana.
L’Iran è «impaziente di combattere il regime sionista», cioè Israele, ed «eliminarlo dalla Terra». Lo ha affermato oggi il comandante dell’aeronautica di Teheran, generale Aziz Nasirzadeh, dopo gli attacchi aerei di Israele in Siria diretti contro installazioni militari iraniane.
La situazione pare essere alquanto fluida, per non dire allarmante.
Ne parliamo con Matteo Bressan, direttore dell’Osservatorio per la stabilità e la sicurezza del Mediterraneo allargato, della Lumsa (Ossmed) e analista del NATO Defense College Foundation.
Come appare attualmente la situazione della Siria?
Quanto accaduto domenica notte è un pericoloso segnale di escalation che vede Israele e l’Iran entrare in contatto come mai prima d’ora nel campo di battaglia siriano. Sin dal 2012 Israele ha condotto, ma quasi mai confermato, una serie di raid contro Hezbollah per impedire trasferimenti di armi e per distruggere infrastrutture iraniane sul suolo siriano. Ora Israele ha alzato l’asticella ed ha posto una precisa linea rossa alle azioni delle milizie iraniane in Siria, che coincide con quanto sostenuto pochi giorni fa anche dal Segretario di Stato Mike Pompeo: le milizie iraniane devono abbandonare la Siria. È questo il messaggio che trapela anche da Washington e che è ritenuto essere la condizione senza la quale gli americani non daranno il via libera agli aiuti per la ricostruzione della Siria.
Quali Paesi vede maggiormente responsabili nella gestione del problema?
Nonostante l’annunciato ritiro degli Stati Uniti, non credo che la capacità di questi di proiettare la forza militare, così come l’azione diplomatica, sia diminuita. Ritengo che gli Stati Uniti da una parte e la Russia dall’altra abbiano tutte le potenzialità per incidere sugli attori regionali. La Russia in questo momento ha interesse a normalizzare i rapporti di Damasco con i paesi arabi e per questo si è spesa per riavviare un dialogo tra Damasco e la Lega Araba. Gli Stati Uniti devono da un lato garantire gli alleati curdi che hanno combattuto contro l’ISIS, dall’altro raggiungere un assetto nel Nord della Siria che sia condiviso con Ankara. Inoltre Washington, nonostante alcune dichiarazioni del Presidente Trump, condivide con Israele la strategia di contenimento dell’Iran. Ecco perché, in assenza di negoziati diretti tra attori regionali così distanti tra loro come appunto Iran e Israele o milizie curde e Turchia, il ruolo degli Stati Uniti e della Russia può essere decisivo.
Quale potrà essere la situazione dei curdi, che la Turchia non “vede di buon occhio” (a dirla in modo leggero)?
Le milizie curde si trovano ad un bivio. Da un lato il rischio di dover fronteggiare le forze militari turche, dall’altro la necessità di negoziare un accordo con Assad, caldeggiato anche da Mosca. Ad oggi ci sono differenti vedute circa la fascia demilitarizzata che dovrebbe essere istituita nel Nord Est della Siria. Per Ankara questa fascia, una volta eliminate le restanti forze dell’ISIS ma anche delle milizie curde, dovrebbe essere controllata da milizie arabe. Gli Usa, ad oggi, non vorrebbero la presenza militare turca nelle aree urbane e nelle roccaforti curde di Kobane e Amuda. Un’altra soluzione, che circola con più insistenza negli ultimi giorni potrebbe essere il controllo internazionale dell’area nel Nord Est della Siria sotto egida ONU. Un’opzione che ad oggi sembra esser gradita sia dalla Turchia che dalle milizie dell’YPG.
Assad è ancora il principale “nemico” da sconfiggere? in chi può trovare appoggio?
Ad oggi il tema della permanenza di Assad non è più nell’agenda della politica internazionale. In questi anni Damasco ha progressivamente coagulato intorno a sé il sostegno degli Hezbollah, dell’Iran e della Russia e anche della Cina. La riapertura dell’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti è un segnale di normalizzazione. Ciò non significa automaticamente che la Siria sarà riammessa nella Lega Araba nel prossimo vertice annuale di marzo, ma non possiamo escluder che i continui cambiamenti dei rapporti di forza non vadano a sancire un riavvicinamento con i paesi del Golfo in un’ottica di bilanciamento di quello che ad oggi è il ruolo preponderante di Russia, Turchia ed Iran in Siria.
Si parla già di “ricostruzione della Siria; Quali sono i Paesi interessati a a metter mano alle attività nel territorio?
Si è parlato negli ultimi tempi di circa 420 miliardi di dollari per ricostruire la Siria, ma ritengo che il tema della ricostruzione abbia oggi, più che mai, una valenza geopolitica. È chiaro che Russia ed Iran abbiano interesse alla ricostruzione della Siria, ma l’impegno economico, nel suo complesso, sembra esser fuori dalla loro portata. In questa ottica non è da escluder un ruolo della Cina e, come ricordato prima, anche dei paesi del Golfo e di quelli Europei.
Maria Clara Mussa
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