Erdoganomics e nuova società dei ''pii turchi''
Rivoluzione geostrategica nel progetto del Presidente della Turchia Erdoğan in cui parametri forti sono Islam, dirigismo e consenso del popolo
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06-05-2018 - L’andamento della politica economica turca è oggetto di molte analisi concentrate su di un fattore principale: il punto di vista dell’analista occidentale.
Lo stesso concetto di base è fallace: la Turchia di Erdoğan non è un Paese occidentale, non è più la Turchia di Ataturk, è la Turchia di AKP. Due concezioni politiche, civili, sociali completamente opposte.
Oggi Ankara si trova nel mezzo dell’esecuzione di un progetto epocale, caratterizzato da due date: quella intermedia del 2023 e quella ideale del 2071.
Vedremo in seguito il significato delle due date, entro le quali la dirigenza di AKP punta a riposizionare il Paese a livello geopolitico, trasformandone la struttura, la società e la natura stessa.
La Turchia si sta muovendo verso il ritorno alla grandezza dei predecessori Selgiuchidi e Ottomani, posizionandosi lontano dall’occidente, dalla cultura, dall’economia e dall’influenza occidentale, in totale contrasto con gli ideali kemalisti.
Per giudicare la strategia economica di Erdoğan, che di questa colossale svolta storica è letteralmente il sultano che aspira a proclamare il nuovo Califfato, è necessario prima di tutto conoscere e capire alcuni elementi di base dell’ideologia del Presidente turco e del suo partito, AKP.
La Turchia odierna non può essere giudicata con le lenti occidentali.
ERDOĞAN E IL SIMBOLISMO OTTOMANO ED ISLAMISTA
Nell’ottobre del 2014 Erdoğan dichiarò che il suo grande piano era la creazione del Califfato Ottomano, con l’aiuto dell’esercito jihadista sunnita. La parola Califfato non è casuale né “leggera”: il Califfo è un profeta, inviato da Allah stesso, per garantire il giusto governo sul mondo islamico, nell’osservanza della Shari’ah.
Il Presidente turco, del resto, è un uomo che osserva con attenzione la tradizione religiosa, facendo ampio uso di un simbolismo ai più incomprensibile, ma chiaro a coloro cui i messaggi sono destinati, ad uso sia interno che esterno. Erdoğan promuove per se stesso l’immagine di un califfo, il leader di un popolo di veri fedeli, piuttosto che di un Presidente della Repubblica.
I giorni successivi al fallito golpe del 2016 sono un chiaro esempio di questo mix di simbolismo e misticità.
Erdoğan visitò la tomba di Abu Ayyub al-Ansari, compagno del Profeta e uno dei primi Patroni (Ansar) dell’Islam.
Abu Ayyub al-Ansari oltre ad aver aiutato Maometto dopo che questi migrò (Hijra) a Medina, prese parte al primo Assedio di Costantinopoli, durante il quale morì e dove venne seppellito.
La tomba di Abu Ayyub è uno dei luoghi santi di maggior importanza ad Istanbul. Soprattutto è il luogo dove i nuovi sultani venivano incoronati. Ovvero, Erdoğan ritiene davvero di essere un nuovo sultano e di dover quindi agire di conseguenza.
Erdgoan visitò anche la tomba di Selim I, detto anche Selim il Ponderato (Yavuz Sultan Selim), ovvero il Sultano sotto il quale l’impero ottomano vide una rapidissima espansione, durante la quale tanto l’Egitto mamelucco, quanto le città sante della Mecca e di Medina caddero sotto il controllo ottomano.
Più recentemente Erdoğan ha onorato la visita di due ex Primi Ministri dell’epoca recente, Adnan Menderes e Necmettin Erbakan. Menderes fu il primo ad allentare le restrizioni alle quali l’Islam era assoggettato, finendo poi impiccato dopo il golpe militare del 1960. Erbakan (il cui percorso vedremo in maggior dettagli nei capitoli seguenti), fu invece il primo politico turco di chiara ispirazione islamista ad essere democraticamente eletto Primo Ministro.
IL NUOVO PROGETTO, I TEMPI, IL GOVERNO ETERNO E LA NUOVA SOCIETA DEI PII TURCHI
Nel 2014 il giornale Yeni Safak, tradizionalmente vicino al Presidente Erdoğan, scrisse: “La Nuova Turchia non è uno slogan, è un Progetto. Ovvero ridisegnare e ristabilire la Turchia dopo un secolo”. Va notato che per gli islamisti, la parola “progetto” sottindende un lento processo di trasformazione della società, dal basso verso l’altro.
Non è un mistero che Erdoğan abbia deciso di riportare la Turchia al suo status di potenza, influenzando ben tre Continenti (Europa, Asia, Africa) e controllando al contempo ingenti risorse energetiche, choke points e vie commerciali.
Una rivoluzione epocale e radicale della società, dell’economia e della politica estera turche, in antitesi con la rivoluzione laica attuata da Ataturk, della quale alla fine del processo, resterebbe solo una ben piccola eredità politica.
Nel 2011, il Presidente turco definì la grande vittoria elettorale di AKP come una vittoria non solo per la Turchia, ma anche per il suo retaggio ottomano. Del resto già nel 2009 il Ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu si era espresso così: ”Come nel sedicesimo secolo, quando il potere ottomano nei Balcani stava crescendo, riporteremo i Balcani, il Caucaso ed il Medio Oriente, insieme alla Turchia, al centro della politica del futuro. Questo è il nostro obiettivo e lo raggiungeremo”.
Il “Progetto” ha alcune basi fondamentali:
Ricreare il concetto di “turco”: così come meno di un secolo fa, Ataturk operò per creare uno stato ed un cittadino laico e più legato all’Occidente, Erdoğan punta a fare il percorso inverso e riportare i turchi al loro stato precedente;
Erdoğan usa lo stesso principio di Ataturk, ovvero un processo di ingegneria sociale, stato-centrica, per sovvertire la rivoluzione di Ataturk e riportare i cittadini turchi alla loro naturale religiosità;
Inculcare nella società turca l’idea che la “missione” della stessa sia quella di ritornare alla grandezza dei progoni Selgiuchidi ed Ottomani, come disse Il Ministro Davutoğlu nel discorso del 2009: “Per raggiungere il livello dei nostri progoni Ottomani e Selgiuchidi entro l’anno 2071”.
Il Progetto ha anche tempi di medio e lungo periodo e una prospettiva di “eternità”. Due sono le date principali:
2023, centenario della fondazione della Repubblica turca, momento che secondo il piano di Erdoğan, la Turchia dovrebbe inserirsi in maniera stabile fra le 10 maggiori economie mondiali (superando Italia e Francia);
2071, millenario della battaglia di Manzikert. Questa data è stata più volte richiamata dai vertici di AKP: oltre ad essere citata dal Ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu nel già ricordato discorso del 2009, venne usata anche dal Presidente Erdoğan durante il Quarto Congresso Ordinario dell’AKP, nel corso del quale i giovani vennero invitati a guardare al fatidico anno.
Cosa rappresenta però l’anno 2071? Il millennio della battaglia di Manzikert, un messaggio molto potente sia all’interno che all’esterno della Turchia, specie nel mondo musulmano.
Nell’anno 1071 a Manzikert, i Selgiuchidi guidati dal sultano Alp Arslān //it.wikipedia.org/wiki/Alp_Arslan sconfissero i cristiani bizantini dell’imperatore Romano IV Diogene, entrando in quella che è oggi la Turchia.
Il valore simbolico va oltre il mondo cristiano però e si concentra sull’obiettivo della supremazia sunnita. Raggiunta dopo la battaglia una tregua con i Cristiani, i Selgiuchidi si lanciarono contro la principale potenza araba sciita del tempo, ovvero il Califfato fatimide egiziano (nell’undicesimo secolo l’Iran non era ancora un Paese sciita ed era parte dell’Impero Selgiuchide).
L’idea del governo eterno di AKP viene anche chiarita di nuovo da Ahmet Davutoğlu nel 2014, all’epoca assurto alla carica di Primo Ministro: ”AKP è nato come movimento di una generazione, ma non è limitato a questa generazione. Non è nemmeno limitato ad un numero di generazioni o di secoli. E’ nel nome di una battaglia per la giustizia ed il diritto che origina del profondo dei secoli, che noi continueremo fino alla fine dei tempi”.
Il Progetto ha anche il suo attore, il mezzo per raggiungere gli obiettivi. Ovvero i “Pii Turchi”.
Ma chi è il “Pio Turco” e come si forma?
Il “Pio Turco” secondo Erdoğan è il fondamento della Nuova Società, quella in cui i cittadini, istruiti secondo i canoni religiosi, riscopriranno il proprio retaggio musulmano ed ottomano, abbandonando le influenze ed i modelli occidentali;
Il “Pio Turco” deve formarsi nelle scuole religiose, le Himam Hatip, sulle quali il governo di AKP, sin dal 2012 ha deciso di investire ingenti risorse.
GLI HIMAM HATIP E LA DIYANET
“Il fine ultimo del nostro sistema educativo è quello di formare persone pie, rispettose della loro storia, della proria cultura e dei propri valori”.
Questo discorso, venne pronunciato dallo stesso Presidente Erdoğan all’apertura dell’anno scolastico 2017-2018, presso la scuola religiosa a lui intitolata, la “Recep Tayyip Erdoğan Anatolian Imam Hatip”.
La scuola dove 50 anni fa studiò lo stesso Erdoğan, figlio di una famiglia della classe lavoratrice della Istanbul degli anni ’60.
Ancora più chiaro Halit Bekiroğlu, Segretario Generale dell’Associazione degli Studenti degli Imam Hatip, secondo il quale: “L’educazione in Turchia sta ritornando al vero spirito della società turca, dopo essere stata artificialmente assoggettata alla cultura occidentale. La modernizzazione e l’occidentalizzazione non sono state perseguite in maniera sana. E’ stato un tentativo superficiale, formalista, rigido, trasportato tale e quale nel nostro sistema, in maniera non congrua con la nostra sociologia”.
Secondo Batuhan Aydagül, direttore della “Iniziativa per la Riforma dell’Educazione”, la Turchia sta assistendo alla costruzione di un’“identità nazionale e nativa” attraverso il nuovo sistema educativo.
Dal 2012, sull’onda della spinta governativa, le scuole islamiche hanno visto un fortissimo aumento di investimenti e di spesa. Sotto la gestione della Diyanet, ovvero il Direttorato per gli Affari Religiosi, gli Imam Hatip hanno goduto di una crescita esponenziale nel numero di strutture e nei finanziamenti disponibili. La scelta di creare una distinzione fra scuole laiche e scuole religiose, ha di fatto sovvertito uno dei cardini della rivoluzione kemalista, ovvero la cosiddetta Istruzione Unitaria (Tevhid-i tedrisat kanunu), istituita per legge nel 1924.
Queste politiche hanno sortito degli effetti importanti:
1,3 milioni di studenti formati nel periodo 2012 – 2017
4.000 scuole in tutto il paese, apertura di altre 128 scuole nel 2018 e ulteriori 50 previste;
645.000 studenti correntemente iscritti che costituiscono ben l’11% del totale degli studenti in Turchia (prima delle politiche di AKP erano solo 60.000);
A questo 11% viene assegnato un budget pari a ben il 23% del totale, facendo si che la spesa educativa procapite veda un investimento doppio a favore degli studenti delle scuole religiose
C’è però anche un dato negativo: solo il 18% degli iscritti riesce ad arrivare ad un’educazione universitaria, contro il 35% delle scuole pubbliche ed il 45% delle scuole private;
Questo dato però ha anche un altro significato nella visione strategica di AKP: una massa di elettori, docili ed indottrinati, non interessati a mettere in dubbio le politiche e le scelte governative. I cittadini perfetti di quella nuova società che deve arrivare a ricostruire la grandezza dei predecessori Selgiudichi ed Ottomani.
LA NAQSHBANDIYYA E LA MISSIONE POLITICA DI ERDOĞAN
Arriviamo al cuore della questione. La missione politica di Erdoğan, perché tale è l’“essere politico”: Erdoğan sente di compiere una missione.
Lo scopo ultimo della sua azione non è il risultato dell’azione di un politico improvvisamente folgorato da una conversione religiosa o da una volontà autoritaria.
L’ispirazione politica di Erdoğan è il frutto della profonda appartenenza del Presidente ad una Tariqah (un ordine spirituale), parte del mondo del Sufismo (Tasavvuf), ovvero una forma di meditazione ascetica islamica. I Sufi (ahl us-Suffa - “Quelli della Veranda”), erano i compagni del Profeta, coloro che abbandonarono tutto per seguire Maometto. Tale Tariqah ha un nome preciso: Naqshbandiyya, ed in particolare la branca di Khalidi.
I Sufi ricevono la propria guida spirituale da uno Sheik, parte di un Nobile Discendenza (Silsila) che lega tali maestri direttamente al Profeta. Alcuni di tali Sheik nel corso delle epoche hanno dato vita a diversi Tariqat, dei quali l’ordine Naqshbandi è uno dei maggiori.
L’ordine Naqshnabi è l’unico a fondare la propria discendenza dal primo Califfo sunnita, Abu Bakr, diventando perciò un forte custode dell’ortodossia sunnita e della legge islamica, la Shari`ah.
Nulla di nuovo in effetti, gli ordini religiosi e le fratellanze hanno sempre avuto un ruolo di primo piano nella politica religiosa turca, sin dal periodo ottomano.
KHALID-I-BAGHADI, LA KHALIDDIYYA (NAQHSBANDI-KHALIDI) E LA LOGGIA DI ISKENDERPAŞA
Alcune figure dell’ordine Naqshbandi sono centrali, per spiegare l’influenza su Erdoğan e l’evoluzione della politica del Presidente.
Una figura chiave Khalid-i-Baghdadi, Sheikh che sviluppò l’idea del suo predecessore, Sheik Ahmad al-Sirhindi, il quale diede una dimensione politica e sociale all’ordine, incoraggiando l’impegno dei membri, in contrasto con la tradizione precedente. Fondatore della corrente Khalidi (Khalidiyya) della Naqshbandyyia (Naqshbandi-Khalidi), Khalid-i Baghdadi era un tenace oppositore di qualsiasi influenza e dominazione straniera, e di ogni idea non proveniente dalla cultura islamica. Oggi l’ordine Naqshbandi-Khalidi è sostanzialmente il maggiore per influenza in Turchia.
Elemento fondamentale dell’influenza dell’ordine nel panorama religioso e politico turco è la Loggia di Iskenderpaşa che, fondata negli anni ’60, diede vita al Movimento della Visione Nazionale (Milli Görüş) del futuro Primo Ministro Necmettin Erbakan, il cui Manifesto pubblicato nel 1969, chiariva la totale avversione di Erbakan per la nefasta influenza occidentale e sollecitava un ritorno della politica turca alla virtù dell’Islam, ponendo la Turchia al centro del mondo musulmano (la Umma).
Diventato Primo Ministro nel 1996 a capo del Partito del Benessere (Refah Partisi), in coalizione con il Partito della Retta Via (Doğru Yol Partisi) dell’ex Primo Ministro, signora Tansu Çiller (ricordiamo che Çiller era Primo Ministro ai tempi della violenta crisi delle isole Imia con la Grecia). Necmettin Erbakan fu il primo governante turco di chiara matrice islamica, predecessore di un altro membro della Loggia di Iskenderpaşa, l’attuale Presidente Recep Tayyip Erdoğan. Erbakan fu deposto dai militari nel 1997 e bandito dalla vita politica con decisione della Corte Costituzionale per aver violato il principio della separazione fra religione e stato.
La Loggia di Iskenderpaşa ha fornito alla vita politica turca altre figure di primaria importanza come i Primi Ministri Süleyman Demirel, Necmettin Erbakan, Turgut Özal (che fu anche Presidente).
Il fondatore della Loggia fu Ahmad Ziyauddin Gümüşhanevi. Il suo successore fu uno dei più eminenti islamisti turchi: Mehmet Zahid Kotku.
MEHMET ZAHID KOTKU, FIGURA FONDAMENTALE E L’INFLUENZA SULLE POLITICHE DI AKP.
Mehmet Zahid Kotku, 39° Nobile Discendenza (Silsila), iniziò nel 1920 il suo Seyr-i Süluk, il processo spirituale di accessione all’ordine, ricevendo nel 1924 il Certificato di Nomina (ottenendo quindi il permesso di guidare ed insegnare ai membri ed ai fedeli). Nel 1958 Kotku divenne Imam Khatib della Moschea di Iskenderpaşa, ovvero leader di preghiera (Imam) e predicatore (Khatib) del sermone (Khutba) della preghiera del venerdì.
Nelle idee di Kotku troviamo molti dei caratteri basilari della politica di Erdoğan, ed in particolare:
-L’avversione per il colonialismo occidentale e la conseguente schiavitù economica;
-L’avversione per la cultura occidentale che aveva distrutto l’identità turca;
-Il favore per la creazione di un’industria nazionale, anche attraverso l’importazione della tecnologia straniera;
-Il favore per l’occupazione delle più importanti posizioni delle istituzioni sociali e politiche di ogni grado;
-La necessità di creare la Nuova Società, composta dai Pii Turchi che si possono formare nelle scuole religiose (Imam Hatip);
-L’idea che la Turchia ed il mondo musulmano siano sfruttati dall’Occidente a sua volta controllato da una fantomatica cospirazione globale sionista;
-Abbandonare l’alleanza con l’Occidente per creare e guidare un’Unione di stati islamici;
Uno dei momenti più importanti nella formazione della Turchia che oggi AKP domina, lo troviamo quando Kotku confidò ad Erbakan la necessità di liberare la Turchia da quelli che lo Sheik definiva massoni filo occidentali. Kotku indicava come strumento fondamentale per liberare la Turchia da queste influenze, la creazione di un partito politico come inevitabile compito storico per i Naqshbandi.
ERDOĞANOMICS: LA NUOVA ECONOMIA PER LA NUOVA SOCIETA’; RIVOLUZIONE GEOSTRATEGICA, ISLAM, DIRIGISMO E CONSENSO
Ovviamente non tutto è riconducibile alla Naqshbandiyya, ci sono anche elementi struttuali dell’economia turca che forgiano la strategia di Erdoğan.
L’ossatura di tale strategia è quella dello sviluppo dirigistico (basato su aiuti/capitali cinesi e qatarioti), con la creazione di un’industria pesante nazionale in vari settori, quello militare incluso.
Industria da sviluppare con le tecnologie straniere, occidentali prima di tutto e da alimentare con un aumento di domanda interna e di export verso i mercati “amici” di EAEU (Eurasian Economic Union), SCO (Shanghai Cooperation Organisation) e Africa. Specie verso il mondo turchico, del quale Ankara prova ad essere leader.
Come aumentare la domanda interna? Attraverso la diminuzione della capacità di acquisto di prodotti occidentali da parte del settore privato, partendo da una stretta sul credito al consumo e all'import. Limitazioni anche alla capacità creditizia delle aziende private, da assoggettare al piano di AKP. Il pattern economico turco, secondo questa strategia dovrà cambiare. Molta più offerta di beni made in Turkey o made in Asia e Africa, più export verso aree non €/$.
In questo filone si inseriscono le recenti decisioni del governo in merito all'accesso a strumenti di finanza islamica, investimenti pubblici, indipendenza energetica (anche attraverso il tentativo di ridefinizione delle ZEE greca e cipriota), implementazione di accordi commerciali bilaterali con Paesi affini (Cina, Qatar, Russia, Iran, Iraq, Pakistan, Malaysia e altri), export militare a VA (Valore aggiunto) relativamente alto, destinato a Paesi asiatici, sud americani e africani.
Un piano poco gradito alla classe media turca, moderna ed europeizzata. Piano, quindi, da corroborare con ampia retorica nazionalista e neo ottomana, con una stretta democratica sull’informazione, per rinsaldare quanto più possibile l’elettorato di AKP e nazionalista e tradizionalista in genere. Senza disdegnare svolte sempre più a destra (estrema), sino ad “arruolare” i Lupi Grigi.
Consideriamo adesso alcuni dati elementi di base.
Il debito pubblico turco, benché classificato come “junk o low investment grade” è comunque molto basso, appena il 30% del PIL. Più preoccupante il debito privato, pari al 160% del PIL.
Preoccupante anche il debito estero turco pari al 50% del PIL. Dopo un 2017 in forte crescita del PIL (+7,4% su base annua), espansione guidata sia dal consumo privato (+7,4%) che da altri fattori (Servizi +10,7%, industria + 9,2%, costruzioni e lavori pubblici +8,9%), il 2018 si presenta meno “brillante” sia a causa degli effetti inflativi sui salari reali, sia per le difficoltà finanziarie di aziende e sistema finanziario, legate alla caduta della Lira turca.
Secondo le previsioni di Goldman Sachs, il 2018 dovrebbe comunque segnare un +4,8% che resta comunque un risultato tale da non far deviare Erdoğan dalla sua idea base di riforma dell’economia.
Diventa utile ricordare che per il governo di Ankara la soglia di “accettabilità” della crescita del PIL reale, è pari al 3.5%. Quindi ancora ci siamo.
RELIGIONE, FINANZA ISLAMICA E POLITICA
Erdoğan ha (o mostra di avere) una forte avversione per i tassi di interesse che, ricordiamolo, secondo la tradizione islamica sono considerati usura (Riba). Erdoğan in realtà, in ossequio alle più profonde tradizioni ottomane, sarebbe del tutto contrario al concetto di Riba e preferirebbe l’applicazione delle regole di finanza islamica pure (Fiqh al-Muamalat) e quindi di strumenti come il Qardh-ul hasan, ovvero mutui il cui premio non è un tasso di interesse, quanto un “onere di gestione”.
Non potendo comunque estendere questo volere alla finanza mondiale, Erdoğan opera nei limiti di quanto consentito dagli strumenti di politica fiscale nazionale.
Quindi per esplicito ordine di Erdoğan, la Banca Centrale di Turchia ha l’obbligo di tenere bassi i tassi di interesse (diversi analisti stimavano nel 2017 che il tasso di interesse applicato in Turchia al tempo, fosse di circa il 5% inferiore al tasso atteso di mercato).
Coerente con la propria impostazione, Erdoğan nel 2015 arrivò ad accusare il suo Governatore, Erdem Basci, di tradimento. Cosa proponeva Basci? Di aumentare i tassi di interesse per combattere inflazione e svalutazione della Lira Turca.
Perchè Erdoğan vuole una politica di finanza islamica?
Perchè i tassi di interesse bassi favoriscono alta inflazione e svalutazione, ovvero diminuzione della capacità di spesa ed indebitamento delle famiglie e delle imprese turche verso l’estero, specie occidentale, orientandole al mercato interno o al più a mercati “amici”. In tal modo contribuiscono doppiamente agli scopi del governo; minor debito estero e maggior domanda interna per prodotti “Made in Turkey” ( o al limite ai meno costosi prodotti non occidentali).
Inoltre, con i propri precetti, la finanzia islamica, consente di guidare la concessione di credito per prodotti e progetti Halāl, evitando quelli “impuri” (Haraam). Questo consente di dare una copertura “nobile” alle scelte dirigiste, autarchiche e austere del governo.
Il diminuito accesso al mercato dei capitali tradizionale, consente al regime anche un crescente controllo dell’economia e dell’industria, attraverso l’uso “politico” di strumenti finanziari Halāl.
Uno strumento è il Mudarabah, ovvero una tecnica di condivisione di profitti e perdite, nel quale un socio di tipo Rabb-ul-mal (ovvero dormiente), funge da prestatore e un altro socio Mudarib (gestore/esperto), offre le proprie competenze e capacità gestionali.
Un altro strumento utile potrebbe essere il Musharakah (joint venture) ove, a differenza del Mudarabah, entrambi i soci contribuiscono parte del finanziamento.
Pensate nel ruolo di Rabb-ul-mal lo stato o banche da questo controllate e l’industria come Mudarib, e capirete come lo Stato, controllando i canali finanziari, potrebbe aumentare il proprio asfittico controllo sull’economia (e di conseguenza sulla società).
Infine, i diminuiti investimenti occidentali possono essere presentati, alla bisogna, anche come un altro esempio di occidente cattivo e razzista. Propaganda di cui il regime si nutre.
Perché in una visione islamica dell’economia, ovvero meno business e approccio più sociale, è utile a fare “proselitismo socio economico”, usando i ritorni occupazionali degli investimenti pubblici come bacino di consenso clientelare. Oppure, fare redistribuzione di reddito (clientelare), sempre presentando la decisione come “etica ed islamica”, utilizzando forme di assistenza di tipo Qardh-ul Hasan, ovvero “prestiti benevolenti” e senza tassi di interesse. Forme evidentemente più semplici da adottare per enti statali o aziende a controllo statale, a beneficio sia della cittadinanza sia dei dipendenti.
Perché l’economia turca è di tipo “know-who” e non “know-how”. Insomma, chi è fuori dal giro non ha grandi speranze. Il governo non si è fatto né si fa scrupoli a negare il supporto anche a grandi gruppi, qualora non siano allineati;
Nel 2011, il 44% degli appalti pubblici veniva deciso da burocrati non soggetti a vincoli di trasparenza. Trend che peggiora.
Nel periodo successivo all’intervento del FMI (Fondo Monetario Internazionale) in Turchia, la crescita del PIL registrava un andamento eccezionalmente positivo, circa il 7% annuo.
Dovuto anche al rigore fiscale ed alle speranze di entrata del paese nella UE. Ma dovuto anche al boom dell’export verso i mercati del Medio Oriente, della ex Unione Sovietica (Russia inclusa) e del Nord Africa. Boom del quale in Turchia non si è persa memoria.
Di colpo, fra Primavere arabe e lungaggini con la UE, il tutto è venuto meno. Aumentando il risentimento popolare verso USA e UE e diminuendone l’importanza politica come partner.
La Turchia ha un’industria ampia, fornitrice di prodotti di qualità affidabile, ma “povera” in termini di ricerca e sviluppo, branding e marketing.
Di conseguenza il contenuto hi-tech dell’export turco è fermo ad un misero 2% sin dal 2002! Insomma, i prodotti turchi sono più innovativi per mercati quali il M.O., la Russia, l’Asia e l’Africa piuttosto che l’Europa. Inoltre una Lira svalutata aiuta l’export di beni poco hi-tech per l’occidente ma buoni altrove, specie verso Paesi con limitata capacità di spesa, ove i beni turchi saranno sempre benvenuti.
Erdoğan, memore dell’importanza passata dei mercati del Medio Oriente, Russia, Asia ed Africa, ha deciso la svolta: meno Occidente, più Oriente, più Cina, più Africa. Più Turchia sulla cartina geopolitica.
CONCLUSIONI
Siamo di fronte ad una svolta (o rivoluzione) di proporzioni enormi, quasi inumane, che richiede tempo, una guida forte, il consenso crescente della Nuova Società e sforzi finanziari e industriali notevolissimi. Svolta della quale il governo turco è convinto in ossequio alle proprie convinzioni religiose ed ideologiche e perché pressato da fattori strutturali di difficile risoluzione.
Riusciranno Erdoğan e AKP ad iniziare quel processo ispirato da Mehmet Zahid Kotku e destinato a far ritornare la Turchia agli splendori ottomani nel millenario della Battaglia di Manzikert?
Non lo sappiamo, né dipende solo dall’agenda turca. Quello che sappiamo è che il processo è avviato e che sarà difficile contrastarlo. Soprattutto è inutile giudicarlo secondo i canoni occidentali.
E’ uno sviluppo che di occidentale non ha nulla e che dell’Occidente diffida profondamente.
Marco Florian
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