Kirkuk, pronta a difendersi ancora
Peshmerga e cittadini pronti ad imbracciare le armi se la minaccia di Baghdad si concretizza in occupazione e ritorsioni economiche contro la regione del Kurdistan
fotografie di: Daniel Papagni
14-10-2017 - Tra la fine di Settembre e l’inizio di Ottobre, giorni in cui stavamo effettuando i nostri reportage nel territorio di Kirkuk, sul frontline di Qwer controllato dai Peshmerga e nelle antiche città cristiane di Qaraqosh e Bartella completamente distrutte dal Daesh, le forze armate irachene erano impegnate per liberare dall'enclave jihadista la città di Hawija, nella provincia di Kirkuk in cui, secondo voce della coalizione a guida USA, almeno un migliaio di militanti ISIS si erano arroccati.
Da due settimane erano impegnate.
La 9a divisione corazzata irachena, la polizia federale, la forza di risposta rapida e le brigate del Hashd al-Shaabi hanno poi "completamente liberato" Hawija, secondo quanto annunciato dal Joint operations Command, giovedì 5 ottobre scorso.
In seguito, il giorno dopo, nel corso di un’operazione di cattura di undici militanti dell’ISIS, effettuata dai miliziani di Hashd al-Shaabi, che eseguivano un raid vicino al villaggio di Shalalat, nel Kirkuk sud-occidentale, vi è stato un attacco di “fuoco amico”, contro il fronte dei Peshmerga. Un errore, pare, a causa del quale tre combattenti curdi sono stati feriti; immediata la risposta al fuoco contro Hashd al-Shaabi.
Ai Peshmerga è stato poi detto che l’obiettivo erano i militanti ISIS, non i Peshmerga, i quali, nel frattempo, avevano catturato nove degli undici del califfato ricercati.
A causa degli scontri, da Hawija è fuggito più di un migliaio di abitanti, anche arabi, (forse anche alcuni membri dell’ISIS) trovando rifugio nelle zone curde controllate dai Peshmerga, vicino a Makhmour, a circa cinquanta chilometri da Arbil.
Da quanto sappiamo, la fuga è dovuta alla situazione che si sta creando: l’arrivo di Hashd al-Shaabi, sostenuto dall’Iran, di cui non si fidano, non è gradito; gli abitanti preferiscono stare sotto l’ala protettrice dei Peshmerga, asserendo che al Shaabi è paragonabile (se non peggio) all’ISIS.
La regione del Kurdistan è ricca di petrolio e di gas. Due voci nella sua economia che rendono forte la richiesta di indipendenza. Da quando il governo di Barzani ha ridotto la fornitura di petrolio all’Iraq, rendendosi autonomo nell’esportazione, (la Turchia è il maggior acquirente) il ministero delle risorse naturali del Kurdistan asserisce che sino ad oggi l'esportazione di petrolio Arbil arriva a circa 650.000 bpd (barrels per day)
“Il nostro territorio è ricco di petrolio, ci dice un cittadino di Erbil, mentre insieme percorriamo la strada che conduce a Kirkuk, ma la gente è povera, schiava sottomessa a Baghdad, che sfrutta la nostra ricchezza”.
In Arbil percepiamo, parlando con alcuni suoi abitanti, la voglia di crescita, anche se l’edilizia per ora resta ferma, come testimoniano i numerosi alti edifici ancora in struttura scheletrica.
Osserviamo e notiamo l’evidente volontà di superare la crisi: apprezziamo la situazione, percorrendo l’anello in costruzione che diverrà il “grande raccordo anulare” della capitale del Kurdistan, cui si collegano strade ben asfaltate, con dissuasori e controlli elettronici della velocità. E’ una città vivace, con un traffico di auto e camion molto intenso e veloce.
“Servirebbe una rete ferroviaria, continua il nostro interlocutore, per favorire il trasporto nel territorio, ma ancora non vi sono sufficienti mezzi economici per affrontare un progetto”.
Per arrivare a Kirkuk superiamo numerosi check point controllati da Peshmerga; attraversiamo i luoghi in cui essi affrontarono le milizie del Daesh, lasciando sul terreno molti morti. Anche il presidente Barzani e suo fratello furono feriti in questo pezzo di territorio, combattendo a fianco dei loro soldati.
Il fronte si è spostato a Sud-ovest, ai confini con la Siria; in questi giorni la città di Hawija, a ovest di Kirkuk, sta per essere liberata dall’enclave jihadista con l’intervento delle forze irachene.
Arriviamo a Kirkuk, per testimoniare la situazione nella città, che a febbraio di quest’anno aveva subito l’attacco del Daesh, respinto dopo una accanita sparatoria durata alcuni giorni da parte di Peshmerga e cittadini armati.
Ne sono testimonianza ancora le case crivellate di colpi; notiamo un edificio, davanti al quale un gruppo di cittadini vuole farsi fotografare, fiero per l’azione compiuta per salvare la propria città e pronto a riprendere le armi se dovesse ripresentarsi la necessità.
//www.cybernaua.it/video/video.php?idvideo=131
Kirkuk è controllata da forze di sicurezza in ogni angolo; ne siamo testimoni diretti, apprezzandone l’efficienza: per una foto scattata con il cellulare, in cui per errore appare una parte di un’auto della “police” veniamo fermati da un uomo in borghese, sicuramente dell’intelligence e controllati. Ok, cancellata l’immagine, siamo liberi di circolare; non solo, ma scattiamo anche la foto ricordo con un poliziotto.
Siamo circondati da gente sorridente che vuole esser fotografata. Un ilare signore anziano si esibisce nella declamazione di una poesia in arabo, di cui capiamo nulla, se non che è d’amore (almeno così ci dice il nostro fixer curdo).
Kirkuk è una città vivace, sia nella parte antica, ai piedi della cittadella che è ancora impraticabile, in fase di ristrutturazione, ricca di popolo che vende e compra, in un caos tipico dei suk; sia nel centro della città, il cui traffico di auto è talmente fitto da impedirci di proseguire.
E, soprattutto, è un punto strategico per la ricchezza in petrolio del suo sottosuolo, un nodo importante a difesa del quale la popolazione curda tutta si erge a difesa.
E a maggior ragione in queste ultime ore, in cui Baghdad invia messaggi impositivi.
Kirkuk, ormai liberata dall’ISIS, dovrà riprendere le proprie attività e la propria vita normale che per ora sono, come per le altre città curde, nei meandri delle decisioni che prenderà il parlamento Iracheno, ancora astioso nei confronti dei risultati del referendum, con 5milioni di Curdi che esige l’indipendenza.
“Ora, ISIS è un problema esclusivamente iracheno; Mossul è praticamente liberata, mentre ancora si sta combattendo in alcune città irachene, in cui all’ISIS si è aggiunto come alleato lo Hezbollah libanese. Ma i Peshmerga continuano a collaborare con l’Iraq per cacciar i terroristi definitivamente”, sottolinea il nostro interlocutore.
Dunque, i Peshmerga sono stati e continuano ad essere determinanti nel mantenimento della situazione cosiddetta stabilizzata.
Il fatto che il mondo internazionale e i Paesi confinanti con Iraq non mostrino gratitudine verso i combattenti curdi, non considerino la loro determinante partecipazione alla liberazione del Paese dal califfato, è un altro dei motivi per cui il popolo curdo esige a gran voce l’indipendenza.
Dopo la chiusura degli aeroporti di Arbil e di Suliyamania, le vessazioni da parte del governo di Baghdad si sono rafforzate con altre richieste.
//www.cybernaua.it/news/newsdett.php?idnews=5964
E’ di queste ultime ore la notizia che il primo ministro iracheno Haider al-Abadi, insieme alle forze sciite, ha inviato al PUK (Unione patriottica del Kurdistan), (attualmente orfano del suo presidente, Jamal Talebani, che fu anche presidente dell’Iraq, deceduto il 3 ottobre scorso) attraverso Fuad Masum, curdo, membro del partito senior e attuale presidente dell'Iraq, un messaggio relativo alla situazione di Kirkuk con sei precise richieste: consegnare l'aeroporto di Kirkuk, consegnare la base militare K-1, consegnare tutti i campi petroliferi, consegnare tutti i prigionieri ISIS detenuti dal Peshmerga, consentendo il ritorno dell'esercito iracheno a tutti i luoghi dove erano stati posti prima ISIS e rimuovere il governatore di Kirkuk, Najmaldin Karim dalla sua posizione.
La risposta dei Curdi non si è fatta attendere: i Peshmerga, inviando circa 6mila combattenti a difesa della città, hanno allertato i cittadini di Kirkuk di prepararsi ad imbracciare le armi, pur augurandosi che si possa evitare il conflitto.
L’adesione è totale, perché la parola “resa” non fa parte del loro vocabolario.
Ciò che li sconcerta non poco è la scarsa attenzione dei Paesi occidentali, che mostrano di non aver compreso quale forza sia stata messa in campo dai Peshmerga contro il Califfato nero, liberando non solo le città impegnate direttamente nella battaglia, ma anche il mondo internazionale.
E non sono pochi i cittadini che sostengono che dietro a tali scontri, per ora solo a parole e a messaggi minacciosi, vi sia la mano dell’Iran, che alimenta gli Sciiti:
“Un grande pericolo per Kirkuk è l’ingresso di Hashd al-Shaabi nella città; se ciò dovesse avvenire la popolazione è decisa a difendere la sicurezza della città; gli Sciiti saranno respinti”.
Ma la situazione sta peggiorando di ora in ora: “Cara Maria Clara, la situazione sta peggiorando sempre più; non abbiamo speranze. Pregate per noi; ieri sera abbiamo affrontato un breve attacco, nessuno spera; ci stiamo preparando per affrontare una grave situazione”.
Questo un messaggio ricevuto ora da un’amica in Arbil.
Maria Clara Mussa
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