19:53 lunedì 25.11.2024
Verso la diga di Mosul, nella regione del Kurdistan
Incontriamo i Peshmerga sulla linea del fronte nelle varie postazioni da cui combattono contro i terroristi del Daesh
fotografie di: Daniel Papagni

06-09-2016 - Erbil, Kurdistan giugno 2016
Si sale nella Jeep del comandante “Buttin”, nom de guerre del generale Muhamad Assad Khoshawi.
Ci accompagna in un lungo giro di perlustrazione, durante il quale visita i suoi uomini impegnati nelle varie postazioni, lungo un percorso che confina con il territorio occupato dal califfato, da cui ogni giorno partono proiettili contro di loro.
Da Erbil, percorriamo una strada inizialmente asfaltata, in saliscendi tipo montagne russe, attraverso campi di grano e di avena, disseminata di capannoni in cui si lavorano materiali edilizi e percorsa da numerosi camion.
I cartelli stradali indicano Sinjar, Duhuk e Mosul, quest’ultima zona ora di grande attualità per l’operazione di ristrutturazione della diga ad opera della ditta italiana Trevi.
Lungo la strada, campi di girasoli, di coltivazioni di vegetali, allevamenti bovini ed ovini, cementifici, raffinerie di petrolio e centrali elettriche… ci danno l’impressione di essere in un Paese che continua a dedicarsi alle proprie attività locali, nonostante sia in guerra.
Buttin ci indica le zone in cui interi villaggi yazidi sono stati distrutti dai terroristi del califfato.
www.cybernaua.it/news/newsdett.php?idnews=4901
Gli Yazidi, di etnia curda, professano una religione che è più antica dell’Islam, ma che il Daesh non riconosce; li considera infedeli, destinandoli all’eccidio se non si convertono: ne è rimasta terra bruciata.
Siamo ad Alqosh, a trenta chilometri da Duhok.
Buttin ci conduce alla postazione più vicina alla zona della diga di Mosul, in cui i Peshmerga hanno organizzato un campo attrezzato e comandato da Ibrahim Molham, colonnello che ci ospita con cordialità, mostrandosi anche soddisfatto della nostra visita in qualità di giornalisti italiani.
Il campo è destinato alla logistica destinata ai militari che operano nella zona della diga, fornendo cibo fresco, acqua, riso ed intervenendo per qualsiasi necessità o emergenza.
Proprio il giorno precedente la nostra visita, ci racconta il comandante, si è verificato un attacco alla zona della diga con bombardamenti ed interventi di elicotteri Apaches americani e di piccoli elicotteri curdi, dediti al personnel recovery
Sappiamo che l’Italia, in tale zona, ha messo a disposizione quattro elicotteri NH90 e quattro elicotteri d'assalto Mangusta A-129, con l’impegno di personnel recovery e assistenza in caso di emergenze, aerei da ricognizione e forze speciali.
www.cybernaua.it/photoreportage/reportage.php?idnews=5313
Nel campo, il personale, che si alterna ogni quindici giorni, continua a spiegare il colonnello, opera con grande speranza nel futuro; il morale è alto, anche se le possibilità economiche sono basse. Confidano nell’aiuto degli amici europei, con l’Italia in prima fila, (ad Erbil i militari italiani addestrano i Curdi), nonché degli amici canadesi ed australiani.
Dal discorso del comandante, emerge un punto ben fermo: i Peshmerga vogliono combattere, anche senza riconoscimento in denaro, perché il loro obiettivo è la difesa del territorio, di quel territorio che vorrebbero riconosciuto come Nazione e per difendere il quale ogni famiglia conta almeno un Peshmerga; ed ogni Peshmerga rende il proprio servizio al fronte per quindici giorni, tornando alle attività lavorative e alla famiglia per altri quindici.
La loro voglia di indipendenza è ancor più comprensibile, allorché veniamo a conoscenza della situazione nei rapporti con l’Iraq.
L’Iraq si appropria il petrolio che sgorga nella regione curda, “dimenticandosi” di pagarlo. Una situazione che non può proseguire.
Il territorio è ricco di petrolio e di gas, al punto che potrebbe essere sufficiente al governo curdo per rendersi indipendente economicamente e politicamente.
Sempre, comunque, che le due famiglie importanti, Barzani e Talabani, possano raggiungere un accordo unitario.
Lasciato il campo del colonnello Molham, proseguiamo verso Mosul, attraverso campi bruciati e resti di villaggi distrutti, in cui notiamo quasi intatta una moschea.
Villaggi che Saddam aveva edificato collocando abitanti arabi, per proseguire nel suo programma di arabizzazione del territorio.
I Curdi non sono arabi, ma indoeuropei e ci tengono molto a sottolinearlo.
Continuiamo nella visita di altre postazioni, ove siamo ricevuti con la tipica generosità di un popolo ospitale anche in luoghi “difficili”: acqua fresca, ottimo tè bollente e, nell’ora del pranzo, anche un piatto di riso e sugo cucinato da loro.
Mai mangiato nulla di più buono, mai accolti in modo così spontaneo e generoso.
Dietro una tenda antizanzare una specie di lettino, allestito da un Pershmerga fantasioso, per godere di qualche minuto di riposo, sempre armato, però.
In un altro angolo una serie di “opere d’arte”: vasi pesantissimi in pietra, scolpiti da un Peshmerga durante il suo turno di riposo…
Assistiamo allo scambio di opinioni, mentre discorrono a tu per tu con il generale loro comandante Buttin, che li ascolta con grande attenzione, fumando con loro dopo pranzo, (tutti fumano) sorbendo il tè.
Alcuni si entusiasmano nel discorso e si lasciano andare ad espressioni che il nostro interprete traduce sorridendo:
“Ma perché devo solo cacciarli, perché mi è impedito di ucciderli… essi poi ritornano…(riferendosi ai terroristi del Daesh)..." L'ordine infatti è di non uccidere, ma di catturare i terroristi...
"Il Milano (così chiamano il “Milan”, il missile contro carro) è molto utile, ma non è sufficiente" ci confidano.
L’Europa sia nostra amica, non ci tradisca, stia con noi….
Promettiamo di pubblicare il loro messaggio.
Maria Clara Mussa


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