20:28 lunedì 25.11.2024
Iraq, non è solo diga di Mosul
Viaggio nel Kurdistan iracheno, tra Erbil, Kirkuk e Sulaymanyah e sul fronte con i Peshmerga
fotografie di: Daniel Papagni

08-06-2016 - Giugno 2016
E’ tempo di mietitura, in Kurdistan.
L’agricoltura non è ancora in pieno sviluppo, nonostante la fertilità del terreno grazie alla presenza di fiumi. I mercati ortofrutticoli si forniscono per lo più di prodotti non locali; ma i campi di grano sono ovunque.
Così come i luoghi di estrazione del petrolio.
Grano e petrolio.
Son parte della ricchezza della regione, su cui il popolo curdo potrebbe contare, se riuscirà a realizzare il sogno antico della propria indipendenza dall’Iraq: il referendum, indetto dal leader curdo Masoud Barzani per ottobre 2016, potrebbe essere determinante.
Nel frattempo si raccoglie il grano e si bruciano le stoppie, seguendo l’arte antica della pulizia a fondo dei terreni che producono cereali; ed il fumo che sale dalle immense estensioni dei campi va ad oscurare il sole cocente, mescolandosi al fumo emanato dai numerosi luoghi di estrazione dell’oro nero, di cui la regione abbonda.
Dieci giorni trascorsi in codesta terra ci hanno offerto la possibilità di capire la vita che qui si svolge, soprattutto la “voglia di vita”.
Il Kurdistan, regione dell’Iraq, è un Paese in guerra, che però con grande determinazione ed entusiasmo conduce la quotidianità in modo apparentemente sereno.
Il perché ci viene spiegato dalla gente comune, con cui abbiamo modo di conversare nella capitale Erbil.
Parliamo con gli autisti di taxi; con i camerieri dei ristoranti sotto la cittadella, che ci servono ottimo cibo locale con allegria e grandi sorrisi; con chi gentilmente ci conduce alla visita della moschea.
La parola magica in Kurdistan è: Peshmerga.
I Peshmerga proteggono e difendono i confini del proprio Paese, rendendo sicura la vita degli abitanti.
Difendono i confini, non vogliono conquistare terre in aggiunta a quella che già considerano da secoli la propria terra e respingono lontano il nemico attuale, il Daesh.
Il nemico Daesh, contro il quale le due importanti famiglie che da sempre si contendono il governo della regione, Barzani e Talabani, fanno fronte comune.
Gli abitanti di Erbil sono "multitasking": l’autista del taxi è anche Peshmerga e quando è il proprio turno raggiunge il fronte per combattere; lo studente universitario in perfetta lingua inglese ci spiega che fa il tassista quando è libero dallo studio.
Un altro autista ci mostra le foto di moglie e figlie, spiegandoci che esse possono vivere libere grazie alla difesa che i Peshmerga hanno della tranquillità del Paese: le strade, infatti, sono controllate mediante la disposizione di chek point ogni tot chilometri, in cui Peshmerga chiedono documenti e controllano le automobili.
E Peshmerga sul fronte, a respingere l’avanzata del Daesh.
In tal modo nella città la vita si svolge come in qualsiasi altra città del mondo.
La polizia multa chi sosta in doppia fila; le auto invadono le vie, in un traffico paragonabile a quello di Roma; donne, bambini, uomini camminano tra un negozio e l’altro o si fanno i selfie vicino alla grande fontana della piazza; famigliole entrano nei ristoranti locali sedendo in zone a loro riservate; ed il venerdì, giorno di festa per i musulmani, gli uomini indossano l’abito tradizionale peshmerga; il pubblico riempie le sale ove si svolgono le sfilate di moda.
I grandi hotel, quelli che per la loro ricca illuminazione di notte si vedono anche dall’aereo che atterra all’aeroporto di Erbil, sono protetti da alti Twall, muri di circa 4 metri, oltre i quali non si vede l’interno; mentre all’ingresso dell’hotel un sistema di controllo, paragonabile a quello degli aeroporti, usa metaldetector, nastro per controllare i bagagli, cani anti esplosivi, “massaggi” personali per uomo e per donna in luogo adibito, alla ricerca di eventuali armi o materiali pericolosi…
Non ho mai avuto tanti “massaggi al corpo” come nel periodo trascorso ad Erbil, prima di entrare in qualche luogo protetto.
Si va sicuri, dunque.
Lo scopo del nostro viaggio era di entrare proprio nel cuore della regione curda, passando dalla vita degli abitanti, al loro modo di considerare la propria situazione alla luce della voglia di indipendenza e di libertà (we are open-minded, ci dicono con orgoglio), alla loro cultura, sino ad arrivare al loro modo di affrontare i problemi che ogni giorno si presentano: dalla difesa del territorio nella guerra in atto, all’aiuto consistente ai rifugiati, attualmente distribuiti in decine di campi attrezzati, in cui riescono a svolgere una vita decente.
Su una popolazione di 5milioni di abitanti, vi sono due milioni di rifugiati: grande esempio di sostegno a chi ha bisogno; ma il popolo curdo ha conosciuto le tragedie, le ha vissute sulla propria pelle: ora aiutano gli altri.
Il nostro racconto sarà sviluppato in più “puntate”, che tratteranno i temi specifici con cui siamo venuti a contatto: i rifugiati, l’esercito curdo, l’opera di addestramento dei Peshmerga da parte dei militari italiani, il fronte di combattimento contro il Daesh….
Impossibile descrivere la nostra missione giornalistica in poche righe.
Sarà un lungo racconto, supportato da numerose immagini.
Maria Clara Mussa


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