07:52 martedì 26.11.2024
Noi rimaniamo qui a difendere i nostri confini
Nel Kurdistan iracheno, sembra di vivere in una sorta di zona franca, rifugio per migliaia di profughi interni ed esterni…la vera battaglia è verso Baghdad
fotografie di: Luca Pistone

09-07-2014 - Erbil sonnecchia avvolta dal caldo. La cittadella, uno dei più antichi insediamenti del mondo, è deserta. Niente turisti, in un paese in guerra. Anche se la guerra, qui nella capitale, è vista e sentita solo attraverso le televisioni. Già, mentre il resto del paese è sconvolto dai combattimenti e da attentati devastanti qui, nel Kurdistan iracheno, sembra di vivere in una sorta di zona franca, rifugio per migliaia di profughi interni ed esterni, come moltissimi siriani scappati dai combattimenti nel paese vicino.
La città è blindata da decine e decine di checkpoint per evitare la penetrazione di jihadisti dell'Isis e possibili kamikaze L'ultimo attentato è avvenuto nell'ottobre 2013 contro il Ministero degli Interni. Sei morti e oltre sessanta i feriti. Un attacco ben organizzato portato da uomini che indossavano finte divise militari, con una seconda esplosione effettuata tramite un'ambulanza recatasi sul posto della prima detonazione. L'obbiettivo era la liberazione di un loro alto quadro. Lo stesso modus operandi dell'attacco, sempre a firma Isis, avvenuto nel 2013 alla prigione di Abu Ghraib a Baghdad.
E in molti qui si ricordano ancora Ansar al-Islam, un gruppo terroristico curdo (nato nato nel 2001 e legato ad al-Qaeda) che seminò il terrore nella regione durante l'occupazione americana.
Nel 2003 controllava circa una dozzina di villaggi e numerose montagne nel nord dell'Iraq, al confine con l'Iran. Diviso in fazioni, la principale delle quali era Ansar al-Sunna (nel 2008 ha poi ripreso il suo vecchio nome e l'unità), ha compiuto decine di attacchi suicidi. Uno dei più clamorosi fu quello compiuto all'interno della mensa di una base americana a Mosul il 21 dicembre 2004 (14 militari uccisi). Ansar al-Islam ha avuto come target anche obbiettivi governativi, sedi di partito e forze peshmerga.
Oggi il nemico si chiama Isis, ma la sostanzia non cambia.
Gruppi estremisti che vogliono destabilizzare la regione.
Le linee più vicine del fronte contro l'Isis sono a Mosul e nella sua provincia, a ovest, a circa 90 km da Erbil e a Taza Khurmatu e Jalawla, sotto Kirkuk.
Negli ultimi giorni i peshmerga hanno ingaggiato battaglia a Qaraqosh e nei villaggi dei dintorni, attaccati a colpi di mortaio dai miliziani islamisti. Una zona sensibile, questa della provincia di Mosul, abitata per la maggioranza da cristiani e da altre minoranze religiose come quelle dagli yazidi e dei turcomanni sciiti.
Nel giro di due giorni oltre ventimila profughi cristiani sono arrivati ad Ankawa, il sobborgo cristiano di Erbil. Molti dei cristiani sono di Baghdad e altre zone sunnite, scappati nel corso degli anni per evitare le persecuzioni religiose, anche se al momento, non sono arrivate notizie di persecuzioni da parte dei membri dell'Isis nei confronti dei pochi cristiani rimasti a Mosul.
Invece per sciiti e yazidi la cosa è molto più seria: sequestri, distruzioni di luoghi santi, uccisioni sono all'ordine del giorno, soprattutto nella zona di Mosul e di Tall Afaar, abitata per la quasi totalità da turkmeno, dei quali un quarto di religione sciita.
Le mura di Erbil nel XIII secolo hanno fermato i mongoli di Hulagu, nipote di Gensis Khan.
Erbil, la città di Ishtar, la dea dell'amore e della guerra. Mura che resisteranno anche contro gli uomini dell'autoproclamatosi califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
Il presidente del Kurdistan Masoud Barzani intanto si prepara alla scissione da ciò che rimane dell'Iraq. “Il parlamento curdo si sta preparando a tenere un referendum per l'indipendenza”, ha riferito durante una intervista, mentre i peshmerga stanno ridefinendo con filo spinato e barriere di cemento i nuovi confini, compreso le nuove acquisizioni territoriali, come quella di Kirkuk, la storica capitale ora tornata finalmente nelle mani dei curdi con una appropriazione di fatto anche dei pozzi petroliferi disseminati nella sua provincia. A girare per i loro reparti si capisce subito che il morale è ben diverso da quello dell'esercito regolare iracheno.
“Noi non scappiamo come han fatto quelli di Baghdad. Noi rimaniamo qui a difendere i nostri confini. Per un semplice fatto, è la nostra terra e nessuno ce la porterà via”, dice un soldato al checkpoint di al Tahrir, a pochissimi chilometri dalla periferia di Mosul. Questo, come tanti altri nel governatorato di Ninive, è l'avamposto curdo oltre al quale inizia il territorio sotto controllo dell'Isis. I loro cecchini sono a meno di 500 metri.
Al momento, su questi fronti non ci sono veri e propri combattimenti. Qualche tiro di precisione (spesso mortale) coi Dragunov, sporadici colpi di mortaio lanciati da ambo le parti, rari Ied posti lungo strade come quella che porta a sud di Kirkuk.
Quasi uno studiarsi le rispettive posizioni mentre la vera battaglia infuria verso Baghdad. Spesso combina più danni il fuoco amico dell'esercito regolare che quello 'nemico' dell'Isis. Infatti è già la seconda volta in meno di un mese che gli iracheni bombardano per errore i pershmerga o abitazioni di civili curdi. Una situazione però che potrebbe surriscaldarsi in brevissimo tempo, se i curdi decideranno di staccarsi dal resto del paese e se nel contempo Al Maliki non deciderà di fare un passo indietro salvando così il Paese dalla dissoluzione.
Cristiano Tinazzi


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