War in progress
Il 2014 lascerà l'Afghanistan libero di costruire una sua propria identità, un sua propria autonomia politico-economica, ma a quale prezzo?
fotografie di: Daniel Papagni
19-04-2012 - E' giunto il momento di tirare le somme, di confermare se ciò che è stato attivato in Afghanistan serva, o meglio, servirà alla data ormai confermata del 2014, anno in cui il Paese dovrà affrontare e mettere in atto tutte le azioni che la coalizione ha disposto all'interno della missione I.S.A.F.
Ma questo è anche il momento più delicato, il momento dove bisogna accelerare le procedure con i governi che premono sui tempi e sulle politiche da attuare; e così fanno pure coloro che si trovano dalla parte opposta, coloro che hanno visto la presenza di stranieri armati come " invasori " nella propria terra; accelerare sulle decisioni vuol dire anche accelerare sulle dinamiche di convincimento che l'Afganistan è, e rimarrà un paese dai mille problemi, un paese perennemente in bilico tra guerra, interessi e labile pace.
Il 2014 lo lascerà libero di costruire una sua propria identità, un sua propria autonomia politico-economica, ma a quale prezzo?
Rischiamo forse di non poter tornare più indietro e che non si tratti solo di una toccata e fuga, perché moralmente saremo legati al loro avvenire.E ' notizia attuale la richiesta del presidente Karzai di pretendere una specie di buona uscita agli americani una volta che avranno abbandonato il paese.
Un avvenire pieno di insidie e forse di realtà troppo disgiunte, per pensare di avere la vittoria della pace e della democrazia in tasca.
Il grande confronto tra tecnologia, religione e storia ci pone come Davide contro Golia.
E' proprio la tecnologia che sta cambiando l'Afghanistan: i Cinesi hanno già fatto bene i loro conti nel Paese, con lo sfruttamento minerario di litio e di rame, in cambio di presenza neutrale.
Per gli Italiani, invece, si metterebbe in campo Enel, per la costruzione di centrali e di reti e l'Eni, per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi, ma soprattutto per il già progettato gasdotto " Tapi " dal Turkmenistan all'India, passando nella regione di Herat .
Bisognerebbe, a tal proposito, ricordare all'India, tanto attuale ora per la detenzione dei due nostri maro' ancora in attesa di processo, che i suoi confini e i suoi confinanti, dai quali essa trae e trarrà vantaggi, sono difesi dai nostri militari presenti nel lontano Afghanistan .
Ancora: i Cinesi offrono telefonia a basso costo, avendo forse capito che l'indipendenza si conquista anche comunicando (non è di ieri la notizia che nel Paese afghano, tra i giovani studenti, si sta consolidando una corrente "filomaoista", che non apprezza l'aiuto di stranieri, evocando la rinascita di un socialismo senza nostalgia, ma proiettato a una visione liberale dove le idee e la forza di metterle insieme, possa essere la via nuova per l'indipendenza).
Ed ancora: contestata dagli Afghani la costruzione della grande muraglia di Kandahar, da parte del contingente U.S.A.; una barriera di blocchi di cemento sorvegliata a vista, eretta per garantire sicurezza agli scambi commerciali sulla ring road, la via che attraversa i campi coltivati dal distretto di Zhari fino alla cittadina di Maywand al confine del Helmand, un'opera che non è piaciuta alle popolazioni locali e che più che unire divide e crea problemi all'agricoltura.
Problemi ancora per gli arresti, gli interrogatori e le prigioni che si stanno riempendo di insurgents, catturati dalle cellule specializzate nella lotta al terrorismo islamico; le perquisizioni e la confisca delle armi, lo sterminio dei campi di papavero da oppio rimpiazzati dallo zafferano.
Stiamo forse spogliando un Paese, nazione sovrana, con la troppa fretta di imporre leggi ed economia non ancora del tutto collaudate persino in occidente, sostituendo repentinamente la legge del Kalashnikov per imporre le nostre con i risultati visibili a tutti?
Anche il nervosismo degli Americani fa notizia.
Essi hanno fretta di chiudere la partita, forse per avviarsi verso una nuova missione, andare a caccia per non essere cacciati, esportare la guerra al terrorismo lontano dai propri confini nazionali.
Per quanto riguarda le relazioni fra Italia e Afghanistan, esse sono caratterizzate da amicizia e ottimi rapporti, fin dai tempi dell'ospitalità offerta all'ex re Amanullah.
L'Italia si è impegnata tra i "Key partner " per il settore della giustizia, per la riforma delle istituzioni giuridiche, della legislazione, dei diritti dell'uomo; sono stati messi in campo i nostri uomini migliori del MAE (ministero affari esteri), di Forze Armate, Carabinieri, Guardia di Finanza; inoltre, l'Italia sostiene la cooperazione civile sviluppando il dialogo con gli interlocutori afghani: la strategia della transizione dipende soprattutto dallo sviluppo istituzionale economico sociale del Paese.
Lasceremo quella terra con leggi, regolamenti, ministeri, forze di polizia e con una nuova forza militare, ma saranno in grado queste leggi, quei regolamenti, quei ministeri e quant'altro di governare un Paese, dove il radicalismo islamico pesa ancora molto?
Lo sa forse bene Hamid Karzai, presidente della Repubblica Islamica dell'Afghanistan dal 2004, ponendo le carte della tregua sul loro tavolo della trattativa nel Qatar; lo sanno anche gli Americani, che solo ultimamente, forse anche a causa del proprio comportamento incontrollato, hanno allentato la morsa dei raid notturni, effettuati dalle loro "special forces" e dalle addestrate forze speciali afghane: essi, in nome della minaccia talebana, entrano nei villaggi e nelle case, infrangendo le regole di ingaggio e indebolendo così tutti gli sforzi volti a una soluzione pacifica, vanificando gli sforzi anche del nostro Regional PSYOPS (support element) unità dell'esercito e delle forze armate deputata alla condotta delle "comunicazioni operative", intese come l'insieme delle azioni comunicative sviluppate principalmente allo scopo di creare consolidare o incrementare il consenso della popolazione locale, nei confronti dei contingenti militari impiegati all'estero, in operazioni di supporto alla pace.
Ed in cambio cosa dovrà accettare o sacrificare il governo Karzai per la convivenza futura!?
Daniel Papagni
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