17:46 martedì 26.11.2024
Si opera incessantemente, ad Herat
Continua l'impegno dei 4.200 militari, nella missione in Afghanistan, dilaniato da anni di combattimenti contro gli insurgents
fotografie di: C. Giannini e SME

03-04-2012 - HERAT (AFGANISTAN). Camp Arena, quasi 5mila chilometri dall’Italia, base del contingente italiano, 4.200 militari impegnati nella missione in questo Paese dilaniato da anni di combattimenti contro gli insurgents, e sottoposto ad operazioni coraggiose e delicate.
La Brigata Garibaldi, guidata dal generale Luigi Chiapperini, appena subentrato al parigrado, generale Luciano Portolano, della Brigata Sassari, è impegnata in quest’area di RC West.
Ad Herat inizia a far caldo.
Mentre si opera incessantemente, per portare avanti un lavoro, per questa terra fondamentale. Da una parte l’addestramento della polizia afghana, dall’altra le operazioni contro i terroristi, come quella compiuta nella notte tra l'1 e il 2 aprile, dalle Forze speciali: la Task Force 45 è entrata in azione.
Ha sequestrato esplosivo, numerose armi e munizioni e arrestato alcuni insurgents, rinchiusi poi nel carcere di Herat. Fondamentale il lavoro di questi uomini, specializzati in tali azioni.
A Camp Arena sono le 19 mentre scriviamo. Vi sono centinaia di soldati in attesa della cena, che si svolge all’interno della mensa della base militare. Il lavoro quotidiano, portato avanti con pazienza, sacrificio ed entusiasmo per oggi è finito, almeno per la maggior parte di loro. C’è chi si connette a internet, per parlare con le famiglie, chi legge, chi si intrattiene in uno dei bar della base. Il tempo si passa anche così, perché in questa piccola cittadina militare si cerca di passarli questi lunghi mesi lontani da casa. Mentre le famiglie da lontano attendono il ritorno dei propri cari. Dall’Italia si pensa che la missione debba volgere al termine, che i militari debbano tornare a casa, ma per chi non è mai stato qui è difficile capire quanto, invece, sia importante la presenza del nostro contingente.
Gli Afghani amano gli Italiani, imparano da loro. La transition è in atto e senza il contributo di questi 4.200 uomini sarebbe difficile che un Paese, abituato alla guerra, possa finalmente pensare alla pace.
Per le strade di Herat, intasate di gente, ancora non si cammina tranquilli, ma la città appare come una qualsiasi città di un Paese arabo. C'è confusione, persino vicino alla moschea blu, bellissima, mastodontica, che si trova di fronte al comando provinciale della polizia afghana, dove i carabinieri tengono corsi per addestrare i militari alla legalità. Eppure Herat, lo dice chi da tanto tempo è qui, appare sicuramente più serena del passato. C’è aria di riconversione.
Lo ha detto anche il comandante della polizia afghana, un generale che guida i suoi uomini con orgoglio: “Ho apprezzato che gli italiani abbiano fatto molte opere anche qui ad Herat. Vi garantisco che per le strade della mia città possiate camminare tranquilli”.
Certo, la situazione è ancora critica; ma in netto miglioramento.
Ed il merito va ai nostri uomini, valorosi, gentili, ma decisi. La professionalità italiana, la pazienza a cui sono abituati i nostri militari, stanno facendo sì che gli Afghani abbiano intrapreso la via del cambiamento. E solo quando questo sarà attuato si potranno vedere quei frutti tanto attesi che costituiscono il miglior premio per chi sta lavorando con impegno, affinché un nuovo sole possa sorgere anche in Afghanistan.
Lo dimostra il fatto che la polizia afghana sta procedendo a bruciare i campi di oppio che vengono man mano individuati (l’Afghanistan è sempre stato considerato il maggior produttore), a pattugliare i confini, soprattutto quelli con l’Iran (e la Guardia di Finanza italiana sta insegnando alla border police, la polizia di frontiera, a farlo), a imparare come si spara, come si arresta un insurgent e così via (e per questo ci sono i carabinieri del Tuscania, che attuano corsi specifici). Difficile, insomma, descrivere quanto sia giusto che  un piccolo pezzo d’Italia sia presente qui, l’impegno di questi uomini e il coraggio che mettono, ogni singolo giorno, nel fare il proprio lavoro.
Spesso, difficile a causa dei preconcetti, dei credo politici o delle notizie che arrivano, spesso distorte, in Patria. Noi vi garantiamo che è davvero così.
cortesia Chiara Giannini


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