19:43 martedì 26.11.2024
Tunisi, i giorni dell'esodo
Questo viaggio comincia da lontano. A centinaia di chilometri dal deserto
fotografie di: C. Giannini

23-12-2011 - Dicevano che al di là del mare c'era la guerra.
Ma dall'Italia non la si vedeva.
Tripoli è lontana ed erano solo giornali e tv a parlare dei raid aerei che la coalizione multinazionale metteva in atto in Libia.
Missili Tomahawk lanciati su Misurata, civili uccisi dall’esercito del Rais, l’ormai temibile Mu’hammar Gheddafi.
C’è chi ha deciso di rimanere, consapevole di rischiare una morte quasi certa, c’è chi ha deciso di fuggire in cerca di un futuro che costituiva un'incognita, ma di garantire a se stesso e alla propria famiglia ciò che in quei territori assediati avrebbe rischiato di perdere. Il bene più prezioso: la vita.
Questo viaggio comincia da lontano. A centinaia di chilometri dal deserto: in un paese di pescatori su una delle isole più belle e sperdute del Mediterraneo: Lampedusa.
Lo scoglio assediato. Poche centinaia di anime che nell’arco di breve tempo hanno visto l’assedio. Le invasioni barbariche son passate da lì. Su quella piccola piattaforma in mezzo a un mare che nei primi mesi del 2011 si è mangiato sin troppe vite. Barconi affollati di clandestini provenienti dalla Tunisia, partiti da Sfax e Zarzis, cittadine nel sud di questo Paese al cui interno molto sangue è stato versato. Perché non fare, dunque, un viaggio al contrario? A ritroso del tempo, alla scoperta dei motivi che hanno condotto queste popolazioni a migrare verso l’Italia, come uccelli in cerca di luoghi più caldi, stormi impazziti guidati da un’unica speranza: quella di una vita migliore.
Ras Ajdir, confine con la Libia, 175 chilometri da Tripoli e 550 da Tunisi.
Aprile 2011
Terra di frontiera, custodita solo da militari e guardata a distanza da cammellieri col turbante, serpenti e scorpioni. E' qui che tra marzo e aprile del 2011 hanno cominciato ad arrivare profughi in fuga dalla Libia, da una guerra finita solo con l'uccisione del Rais, freddato lo scorso 20 ottobre nei pressi di Sirte. Per lo più erano lavoratori impiegati nelle compagnie petrolifere libiche, ma anche commercianti, con al seguito le loro famiglie. Ai libici, molto ricchi, erano destinati gli alberghi tunisini, che li hanno ospitati in attesa della fine del conflitto bellico e, quindi, il rientro in patria. Ma per il resto della popolazione, proveniente da Sudan, Mali e altri Paesi arabi, l'unica accoglienza possibile è stata quella nei campi profughi allestiti da varie organizzazioni internazionali.
Il primo campo profughi, arrivando da Ras Ajdir, direzione prima cittadina che si incontra sulla strada che arriva dal confine, Ben Guerdane, era quello degli Emirati Arabi. Forse uno tra i più organizzati. Gli ospiti erano per lo più sudanesi, ma vi si potevano trovare anche famiglie palestinesi e ribelli libici in fuga. A circa due chilometri di distanza il campo della Croce Rossa italiana, diretto dal responsabile, Emerico Laccetti. I volontari (38 in tutto a fine marzo) si occupavano della preparazione dei pasti. Vi erano state allestite una cucina dotata di ogni accessorio e diverse tende per l'accoglienza dei profughi, a cura della Mezza Luna Rossa.
Più avanti il campo Choucha, quello dell'Unhcr, visitato a inizio aprile anche dall'attrice Angelina Jolie. Un luogo in cui si mangiava meno, rispetto altri campi, a causa del sovraffollamento e in cui sporcizia e mercato nero la facevano da padroni. Un luogo in cui, però, i profughi cercavano di sostenersi a vicenda e sui volti dei bambini non mancava mai un sorriso. Da lì venivano reclutati passeggeri dei viaggi della speranza, a bordo di barconi diretti a Lampedusa, via Zarzis e Sfax, cittadine di mare poco più a nord.
Come gusci di noci galleggianti, le imbarcazioni, in preda alle onde, hanno tentato più volte di prendere il largo verso Lampedusa e quella che per molti significava una vita nuova. Per una cifra pari a mille euro e in alcuni casi anche di più, molti profughi, ma anche moltissimi tunisini, hanno provato a raggiungere il sogno di Eldorado. Qualcuno c'è riuscito, ma tanti ci hanno rimesso la vita, inghiottiti da quello stesso mare che doveva portarli via dalla Tunisia. Dopo gli accordi tra il governo Berlusconi e quello tunisino, la guardia costiera araba ha cercato di riportare a riva i barconi, cercando di rispettare gli accordi e tentando di essere meno tollerante. Da parte dell'Italia molti rimpatri sono avvenuti.
Tunisi ottobre 2011
Un balzo in avanti nel tempo, a Tunisi, capitale di una terra che mesi prima aveva scelto la via del cambiamento, con la rivoluzione dei Gelsomini e la caduta del governo dittatoriale di Ben Ali. Le elezioni si sono tenute a fine ottobre, in un clima totalmente pacifico.
I giorni dell'esodo verso la Tunisia, da parte dei profughi libici, sembrano lontanissimi.
Migliaia di persone, anche moltissime donne, in fila davanti ai seggi, hanno fatto il proprio dovere, in nome di quella libertà negata per troppi anni. Ma a risultati ottenuti, con la vittoria a oltre il 40% del partito islamico, Enhahda, sono iniziate le prime proteste. Tutt'oggi il clima in Tunisia è poco favorevole, malgrado chi governa prometta maggiori diritti per le donne. Da contatti in loco, a quanto pare, niente è cambiato e la prospettiva di una nuova rivoluzione non è da escludersi.
cortesia: Chiara Giannini


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