Addio David, tua madre ti saluta, Folgore!
Decidiamo se dobbiamo cambiare politica, ma facciamolo in fretta.
fotografie di: Daniel Papagni
27-07-2011 - Sguardo fiero, basco amaranto calzato e saluto militare: così si è presentata la mamma di David Tobini, paracadutista dell'183 Nembo, quarantunesima vittima della guerra in Afghanistan.
Lo ha voluto ricevere così, al rientro dall'Afghanistan dopo il luttuoso evento che l'ha travolta.
Lo ricorda sereno, sorridente e fiero di essere un soldato al servizio dei più alti ideali, così come lo ricordano i suoi colleghi, intervistati, come Rocco Pacella, primo caporal maggiore:
"Un ragazzo-uomo la cui battuta preferita era: dai ragà, che ce la famo".
Era un ragazzo abituato a parlare poco del suo lavoro, lo faceva e basta.
Pensava solo a tornare a casa per stare insieme alla sua famiglia.
Il fratello lo ricorda coma un padre.
In Afghanistan, appena ne aveva la possibilità, dava ai bambini la sua cioccolata e le razioni K.
Ad attenderlo, sulla pista dell'aeroporto di Ciampino, i rappresentanti delle istituzioni si son unite al dolore della famiglia, in un momento difficile per le forze Amate italiane. Presenti anche la medaglia d'oro, onorevole Gianfranco Paglia, insieme Giampiero Monti, della 18a Leoni 183 Pistoia, tutti e due feriti al chek point Pasta, in Somalia, 2 luglio 1993, dove perse la vita Pasquale Vaccaro, della 15a Compagnia; e il comandante del distaccamento, tenente colonnello Zanchi, che ha scortato il feretro sino al carro funebre.
Tra i labari delle associazioni d'arma presenti, si notava l'assenza di quello dell'ANPdI, Associazione Paracadutisti d'Italia di Roma.
Facciamo il punto della situazione:
L'inasprimento degli attacchi ai nostri soldati ultimamente è aumentato.
Dall'inizio della transizione, (il trasferimento delle territorialità e delle competenze civili e militari al popolo afghano) si è anche data la possibilità a chi prima dominava l'Afganistan attraverso la violenza delle proprie leggi di affacciarsi nuovamente per riportare lo stato di potere, corruzione, minacce alla popolazione e terrore.
Il governo di Karzai non piace a quelli che son stati tagliati fuori. E' di oggi la notizia dell'attacco suicida con la conseguente morte del sindaco di Kandahar.
Karzai deve fare i conti con le oltre quaranta comunità esistenti nel Paese.
Un esempio: i vecchi signori della guerra o delle guerre afghane, che hanno vissuto la storia travagliata del Paese, sono abituati a cambiare repentinamente schieramento, a seconda delle personali convenienze.
L'etnia Hazara, filopersiana, ha subito le violenze dei Pashtun; gli Utzbeki, filosunniti, ancora possono contare su quindicimila miliziani sparsi nel paese.
Nonostante i contrasti passati con le milizie tagike, (etnia di Karzai) essi si sono schierati a favore della politica del presidente Karzai.
Senza approfondire troppo lo scenario geopolitico culturale, il risultato è che l'Afghanistan è un territorio in cui da sempre esistono conflitti socioculturali, diatribe legate ai confini territoriali, rancori antichi, speculazione e corruzione, tutte mixate in equilibrio instabile.
Dunque, a due anni dall'exit strategy, prevista nel 2014, c'è qualcuno che ha interesse nell'abbreviare i tempi, creando un clima di terrore e sfiducia.
Si mischiano di nuovo alleanze e contrasti tra le varie fazioni afgane, soprattutto dove traffici ed interessi sono maggiori, ad esempio nell'ampia zona di Bala Murghab, dove si trovano i nostri soldati ben addestrati e preparati, ma non così pronti nell'affrontare un'imboscata con conflitto a fuoco contro nemici numericamente superiori, in termini di presenze e volume di fuoco.
E noi ancora una volta chiediamo e ci chiediamo a che cosa servano i Predator, ampiamente abilitati ad essere armati, ma tuttora esclusivamente silenti vigilantes del territorio.
Cybernaua, nell'ultima missione ad Herat, ha avuto modo di colloquiare con la gente del luogo.
E alla domanda sulla situazione post exitstrategy, la gente ha risposto:
"Abbiamo paura del giorno in cui non ci sarete più".
E allora, ci domandiamo quanti ancora dei nostri soldati non saranno più con noi?
La strategia del peacekeeping sta per caso diventando la strategia delle armi? Karzai ha dichiarato ultimamente che il continuo genocidio di afgani ha fatto la differenza tra l'amico sovietico e l'invasione sovietica.
Il bilancio ad oggi, per un'operazione di antinsurgens, ha un bollettino di guerra di circa 400 morti inglesi, più di 1000 americani, 41 italiani…l'elenco non finisce qui, considerando tutti i partecipanti alla missione Isaf.
Senza contare le vittime civili, bambini soprattutto, che hanno pagato pesante contributo all'interno del conflitto.
Questo è il prezzo da pagare per vedere ristabilita la libertà e la democrazia? (Molto ci sarebbe da dire sul concetto di democrazia e libertà dei cosiddetti Paesi civili)
Decidiamo se dobbiamo cambiare politica, ma facciamolo in fretta.
Daniel Papagni
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