Se non è guerra questa (Esclusiva)
In Afghanistan, dove operano i nostri soldati a supporto delle forze locali
fotografie di: Daniel Papagni
15-08-2009 - ….e poi abbiamo anche provato a mettere sul mezzo la caffettiera, per misurare il calore …. il caffè è uscito….abbiamo fatto le foto…
Chi parla è un paracadutista di 25 anni, che ci narra di come si stia a Farah, nel sud ovest dell’Afghanistan, dove la temperatura raggiunge picchi elevati e scalda la carrozzeria dei Lince, tanto da permettere di fare il caffè con la moka.
Sta viaggiando con noi sul C130J, che dall’aeroporto di Kabul ci porta ad Al Bateen, (Abu Dhabi), dove saliremo sul volo Alitalia per rientrare a Roma.
Sta andando a casa, in ferie per quindici giorni, dopo 150 trascorsi a Farah, base a sud di Herat, dove gli attacchi dei cosiddetti insorgenti sono frequenti.
“E’ dura, viviamo nelle tende, caldo soffocante e sempre pronti ad intervenire…sì, vado in ferie a trovare gli amici…anche loro sono per lo più militari, gli unici che possono capire che razza di vita facciamo…i giovani della mia età non sanno nulla e non è facile far loro capire chi siamo e cosa facciamo per 133 euro al giorno”.
L’orgoglio di appartenenza ad una categoria di persone che “fanno”, in cui azione e partecipazione sono fondamento del carattere, traspare da questo ragazzo, come da tutti quelli che abbiamo incontrato nel nostro viaggio dentro “la situazione seria” dell’Afghanistan
Situazione che ha tutti gli aspetti di una guerra vera e propria, contro un nemico che prepara bombe rudimentali micidiali, che usa i suicida, le autobomba e le minacce a chi andrà a votare.
I nostri soldati, insieme a quelli delle altre nazioni che partecipano ad ISAF (International Security Assistance Force) in ogni città afghana in cui si voterà il 20 agosto stanno dando sostegno all’esercito e alla polizia locali, affinché le elezioni si possano realizzare.
E questo non piace agli insorgenti, per lo più talebani, che oltre alle minacce, agiscono con bombe e razzi, ogni giorno.
Camp Invicta, a Kabul, gestito ora dall’186° della Folgore al comando del colonnello Aldo Zizzo, è stata la prima base che abbiamo visitato, dove abbiamo toccato con mano come si lavora.
Giubbotto antiproiettile ed elmetto è l’abbigliamento, insieme alle armi sempre pronte; i Lince, VML apprezzati per la forte resistenza alle esplosioni delle bombe degli insorgenti, sono i mezzi con cui i soldati si muovono.
E con loro abbiamo anche vissuto un giorno ed una notte nel “fortino” della FOB (Forward Operating Base) "Sterzing", nella Valle del Musahi, vera e propria trincea, rinforzata da Hescobastion, comandata dal capitano Giacomo Veroli, in cui si svolgono la vita e le attività operative.
Circondata da montagne di una bellezza sconvolgente, la valle del Musahi nasconde, proprio grazie alle montagne impervie ed aride, insidie e terroristi.
Nella FOB l’attività di supporto alla Polizia locale e all’esercito è intensa.
E ne siamo testimoni, il pomeriggio in cui il comandante del battaglione colonnello Renato Vaira, insieme al capitano Veroli si chiude nella sala operativa con alcuni afghani e americani.
Avvertiamo qualcosa di molto importante nell’aria.
Osserviamo in silenzio: le squadre sono chiamate al briefing, mappe dispiegate sul pavimento, armi preparate e viveri per eventuale prolungamento dell’azione, 6 Lince con motore acceso sul piazzale, con il mitragliere pronto alla torretta.
Parte il plotone di 30 parà, velocemente, verso le montagne, sollevando la polvere, quella polvere che ci ha soffocato le narici per una settimana e che per loro è condimento quotidiano del loro respiro.
E’ un’operazione congiunta, tra paracadutisti del 186° rgt. della “Folgore” e unità delle Forze di Sicurezza Afghane (NDS - National Directorate of Security e KCP, Kabul City Police) per catturare due persone che si sospetta siano gli autori dell’attentato che pochi giorni prima aveva reso inutilizzabile un Lince dell’186°.
Restiamo in attesa insieme.
Poi sentiamo l’annuncio: stanno rientrando, tutto bene, le persone ci pare di capirne i nomi, Bari e Agi Akbar, catturate dalle forze di sicurezza locali sono attualmente a disposizione delle Forze di Polizia afghane.
I nostri ragazzi rientrano, rientra anche il RAV, l’aeromodello pilotato da terra, rientra l’adrenalina e si fanno le congratulazioni al comandante:
“hanno fatto tutto loro, i ragazzi, come sempre, con grande professionalità” dichiara il capitano Veroli.
E tutti insieme una birra meritata.
Ma senza sosta, perché già si sta preparando l’uscita notturna, con l’uso dei visori infrared e poi quella di prima mattina, tutte a controllare i percorsi che potrebbero nascondere le insidiose IED, le bombe artigianalmente preparate dagli insorti.
E’ una “vita” senza sosta, senza turni di riposo assicurati.
Nel poco tempo a disposizione ci si allena, si corre, si usano le attrezzature di una palestra improvvisata sotto una tettoia.
L’addestramento è parte importante del loro modo di operare, cervello e muscoli sempre pronti.
E’ il 10 agosto. E’ notte. Ci prepariamo ad uscire con la squadra per la perlustrazione notturna. Un attimo per alzare gli occhi al cielo, non si sa mai che si possa vedere una stella cadente…il cielo della valle del Musahi non soffre di inquinamento luminoso…le montagne silenziose sono buie…
Dura poco, perché sorge la luna in fase ancora molto luminosa.
Indossiamo il giubbotto antiproiettile, l’elmetto e saliamo sul Lince con la squadra. E capiamo una volta di più che non è proprio un lavoro che potrebbero svolgere tutti: senza fari, solo con il visore notturno, per strade di sassi e terra, alla ricerca di eventuali insidie, per un percorso lento, accurato, sasso per sasso che dura ore.
E mantenendo un calmo autocontrollo.
Siamo esausti.
E, soprattutto, siamo fieri dei ragazzi che ci rappresentano. Si devono difendere mentre operano in una situazione che non è per nulla di pace. Ogni giorno ed ogni notte, in un‘attività che si avvicina alla “roulette russa”, rischiano la vita consapevolmente, compiendo con grande professionalità il lavoro che vien loro assegnato.
Nota: le tre foto riguardanti i paracadutisti in assetto sulle montagne sono gentilmente inviate dal P.I. di Camp Invicta (Kabul)
Maria Clara Mussa
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