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Accadde il secolo scorso

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Prigionieri e ostaggi in Iran
Accadde il secolo scorso; una storia di rimpatrio dei nostri connazionali, mai raccontata prima

07-06-2020 - Dall’Iran non ci attendiamo nulla di buono. Però, a volte succede.
Una nota di Agenzia (Asia News), commentata da Analisi-Difesa sabato scorso, ci racconta di uno scambio di prigionieri tra Teheran e Washington.
Un veterano della U.S. Navy, già condannato a 10 anni di carcere per motivi mai del tutto chiariti, dopo 700 giorni di detenzione è stato consegnato dalle autorità iraniane all’ambasciata svizzera. In cambio, gli Stati Uniti avrebbero scarcerato e rispedito in Iran uno scienziato che aveva già scontato tre anni di detenzione per spionaggio.
Segnali di distensione? Forse. Ma il pensiero va al novembre 1979, quando un gruppo di studenti islamici occupava l’ambasciata USA, trattenendo in ostaggio per 441 giorni 52 funzionari. Allora il rilascio era avvenuto con la mediazione di Algeri, in cambio dello scongelamento dei fondi iraniani bloccati nelle banche Usa a seguito dell’avvento di Khomeini, graziosamente riportato a Teheran dai Francesi.
L’altra condizione, dura da digerire per la maggiore potenza mondiale, era una riaffermazione scritta del principio di non ingerenza negli affari locali.
La vicenda, compresa la figuraccia del fallito colpo di mano del 1980, è ancora oggi piuttosto nota al grande pubblico. Il quale, invece, non sa assolutamente nulla del fatto che anche l’Italia, nel periodo di transizione tra Reza Pahlavi e Khomeini, ha svolto con molta discrezione una sua parte. Nella capitale, ma anche in altre grandi città, nella seconda parte del 1978 si svolgevano cortei di migliaia di dimostranti vestiti di nero, uomini e donne, che invocavano la fine della dinastia Pahlavi e l’avvento di un regime nazionalista, segnatamente confessionale.
Gli scontri erano all’ordine del giorno, gli Americani erano nel mirino, ma anche per gli altri occidentali l’atmosfera non prometteva nulla di buono. La presenza italiana era più che significativa (Impregilo, Snam, Eni, etc.), contando sul territorio oltre 17 mila residenti. Da Bandar Abbas ai monti Zagros, da Isfahan alle montagne verso l’Afghanistan.
Non erano affatto anni tranquilli, ma i social media ancora non c’erano e la pubblicità si evitava. Però, c’era qualcuno che aveva la forza e la capacità di decidere cosa fare. Occorreva però dare qualche specialista in supporto all’ambasciata.
Furono individuati un colonnello dell’Aeronautica Militare, esperto in piani operativi e trasporti aerei ed un tenente colonnello dell’Esercito, esperto in protezione locale e vie di comunicazione terrestri. La base informativa veniva fornita da uno specialista residente in Libano.
Dopo un istruttivo colloquio con il ministro plenipotenziario Giovanni Migliuolo, direttore per l’Emigrazione e gli Affari Sociali del ministero degli Esteri e presi verbalmente gli ordini dal ministro della Difesa, Attilio Ruffini, i due ufficiali preparavano la valigia e, senza spiegare troppo nemmeno in famiglia, rigorosamente in abiti borghesi partivano per Teheran. Loro compito era organizzare l’evacuazione ordinata e sicura dei connazionali, nel caso la situazione precipitasse. Eravamo a fine ottobre ’78.
Sul territorio non era facile muoversi, in alcune aree era vietato, in altre sconsigliato. Con l’efficace collaborazione delle nostre Ditte (tutte disponevano di autonomi sistemi di radiocomunicazione), venne creata una sorta di catena di allertamento a rilancio tra gruppi prestabiliti. L’ordine di allerta e di eventuale evacuazione veniva dato dall’ambasciata e si ramificava in pochi minuti attraverso tutto il Paese. Parallelamente, venivano identificati e comunicati i percorsi più sicuri per l’esodo via terra e venivano indicati i luoghi di raccolta per il recupero con aerei militari, prevedendo la chiusura dei voli civili. Il lavoro veniva completato verso la metà di dicembre, con un briefing collettivo a tutti coloro che erano punti nodali della rete. I due pianificatori, sempre rigorosamente in borghese, finalmente riuscirono a rientrare a Fiumicino con l’ultimo volo Alitalia.
A metà gennaio l’emergenza scattò davvero e, incredibile a dirsi, la pianificazione funzionò alla perfezione.
L’A.M. inviò a Teheran il capo ufficio Operazioni della 46^; gli equipaggi degli Hercules, come spesso nelle emergenze, fecero miracoli, posizionandosi negli Emirati, in Kuwait e persino a Bagdad, facendo la spola con i punti di raccolta di notte, a bassa quota. Nessuna autorizzazione delle autorità locali, in quei primi giorni ancora allo sbando.
Alla fine, risultarono rimpatriati senza danno oltre 15 mila connazionali. Sospiro di sollievo: tutto è bene ciò che finisce bene…


Mario Arpino
 
  
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