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Francesco Volpi, l’uomo che volò nella Stalingrado assediata
Renato Allesina racconta alcuni aneddoti che riguardano la vita del grande pilota italiano, scomparso il 17 novembre scorso
21-11-2019 - E’ volato più in alto, dalla sua casa di Trento, il decano dei piloti italiani, il tenente colonnello pilota Francesco Volpi, all’età di 105 anni compiuti.
La forte commozione ci rende molto difficile scrivere di lui in questo momento, ma è doveroso ricordarlo.
Tra i molteplici episodi che hanno contraddistinto la sua avventurosa vita ne cito solamente due che ci fanno capire di quale tempra quest’uomo fosse fatto.
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Nell’immenso calderone della seconda guerra mondiale, siamo nell’autunno del 1942, sul fronte orientale: i Sovietici, con un’offensiva micidiale, cingono d’assedio Stalingrado imbottigliando la VI armata tedesca comandata dal generale Paulus.
Da Rastemburg, quartier generale tedesco, Adolf Hitler chiede che alcuni ufficiali superiori dello Stato Maggiore raggiungano al più presto Paulus, con l’ordine perentorio di resistere fino all’ultimo uomo.
Si decide per un trasferimento aereo; ma come arrivare a Stalingrado, con terribili condizioni atmosferiche e il pericolo di venire abbattuti dalla contraerea russa?
Inoltre, si verifica un fatto che mette in discussione la missione: i piloti tedeschi si rifiutano di volare; sarebbe un disastro annunciato.
A questo punto ai tedeschi non rimane che prendere contatto con il comando italiano formulando la richiesta di trasferimento aereo degli ufficiali tedeschi a Stalingrado.
Il generale Mario Pezzi, comandante dell’aviazione italiana in Russia, affida dunque la pericolosa missione al suo aiutante di volo capitano Francesco Volpi.
Volpi, nel tempo di 15 minuti, appronta il velivolo, un S.M.81 e formula la rotta.
Prepara dunque il percorso: un volo di due ore a quota zero e con occhio attento alla rotta, e come strumenti solo bussola e orologio. Arrivato sull'obbiettivo, atterraggio senza flaps, sosta di due ore circa in zona di combattimento. Non è certo una situazione gradevole!
I problemi si presentano al ritorno, poiché si va verso la sera; si può alzare la quota; senza radio il telegrafista è disperato, ma si deve credere nella buona stella; l’orologio e la bussola indicano che il campo di atterraggio non dovrebbe essere lontano.
Cerca di ricordare la posizione della pista, cerca di trovare la soglia: virata di 180° e giù..
Ma, nell’oscurità, all’improvviso intravede un bagliore rosso che indica divieto di atterraggio; quindi, riattacca e dà tutto motore, per togliersi da un guaio.
Il carburante scarseggia, nessun aeroporto in vista, dunque non rimane che riprovare ad atterrare.
Questa volta con esito positivo.
Al momento dello sbarco i generali della Luftwaffe lo salutano con un forte abbraccio e lo ringraziano avendo capito quali difficoltà ci fossero state nell’operazione, essendo anche loro provetti aviatori.
In seguito, per questa missione gli fu conferita la croce di ferro tedesca al merito che ha sempre indossato nelle cerimonie ufficiali, accanto alle altre decorazioni, decorazioni che venivano raramente assegnate a militari non appartenenti alle forze armate germaniche.
Un gesto per sottolineare quanto avessero stimato le capacità aviatorie del capitano Volpi.
Il secondo episodio ci porta ad Acquapendente, in Umbria nell’estate del 1943.
Volpi, come comandante di squadriglia, riceve l’ordine di addestrare i suoi piloti per il bombardamento di New York.
Questa missione non arriva come un fulmine a ciel sereno, perché nelle alte sfere da tempo ragionavano intorno alla possibilità di arrivare a colpire gli Stati Uniti d’ America.
La missione di Volpi consisteva nel decollare da un aeroporto della costa francese occupata dai tedeschi; con velivoli SM 82 effettuare il bombardamento e, poiché non avrebbero avuto autonomia sufficiente per il ritorno, si sarebbero dovuti paracadutare qualsiasi fosse stato il punto .
​Fortunatamente per tutti l’armistizio pose fine a questa sciagurata ipotesi e il nostro poté tornare avventurosamente a casa travestito da ferroviere, sfuggendo così ai suoi ex alleati tedeschi, i quali, dopo avergli conferito la croce di ferro, in quel caso lo avrebbero deportato in Germania.
Tantissimi altri episodi di una vita incredibile sono stati raccontati nel libro che egli ha scritto con il titolo “Ho dovuto fare la guerra”.
La sua grande passione per il volo lo ha accompagnato per tutta la vita.
Sino a pochi anni fa pilotava senza problemi.
L’insegnamento che quest’uomo lascia alle giovani generazioni di piloti è che, nonostante la tecnologia e lo sviluppo dei sistemi di cui oggi gode l’aviazione, l’uomo e la sua preparazione, la sua passione rimangono centrali.
Chiudo con una frase che ci ripeteva sempre quando ci salutavamo dopo aver festeggiato il suo compleanno o per altri eventi “Arrivederci alla prossima, non so voi ma io ci sarò”.




R.Allesina
 
  


 
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