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Israele, si deve ancora sperare nella diplomazia…
Considerazioni del generale Giuseppe Morabito, membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation
23-09-2024 - Dobbiamo accettare in Occidente una triste realtà e cioè che dopo anni di accordi falliti e di scontri “occhio per occhio”, né gli israeliani né i terroristi di Hamas che controllano/controllavano Gaza credono che i loro avversari negozieranno in buona fede.
Storicamente va accettato che l’ultima, migliore occasione per un piano di pace tra Israele e le autorità palestinesi si era presentata nel 2008. L’allora primo ministro israeliano Olmert sarebbe stato pronto a cedere territori in Cisgiordania e a consentire ad alcuni rifugiati di riappropriarsi di alcuni territori. Il governo israeliano apparve persino disposto a cedere il controllo della Città Vecchia di Gerusalemme a un comitato internazionale come parte del riconoscimento della Palestina come stato sovrano.
Il potenziale accordo è andato in fumo, per ragioni che Olmert trova ancora difficile spiegare. “Questo era qualcosa che avrebbe cambiato il Medio Oriente”, ha detto in un’intervista sui suoi colloqui falliti con il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas. “Non era pronto a correre alcun rischio”. Abbas disse che non gli è stata data l'opportunità di esaminare la mappa proposta della Cisgiordania e che aveva chiesto più tempo. Alcuni giorni dopo, Olmert si dimise per alcune accuse di corruzione, e l’accordo fallì.

Nessuno in Israele oggi pensa a simili colloqui di pace, nel timore che uno stato palestinese sovrano troverebbe più facile organizzare un altro attacco come quello terroristico condotto da Hamas lo scorso ottobre (uccidendo 1.200 persone) che ha portato al conflitto di Gaza.
La diplomazia è, purtroppo, passata in secondo piano rispetto alle operazioni delle forze armate riflettendo anni di sfiducia e accordi falliti e questi atteggiamenti, a quanto appare oggi, non saranno invertiti presto. I paesi democratici occidentali hanno ampiamente riconosciuto che Israele ha il diritto di difendersi dal cosiddetto “anello di fuoco” creato dall’Iran e i gruppi terroristici, suoi alleati per procura, in Libano, Iraq, Siria e Yemen.
La diplomazia non sembra più essere una priorità e rispondendo a quanto riferito dai media israeliani, il premier israeliano Metanyahu ha dichiarato di aver negato fermamente “l’affermazione secondo cui avrebbe silurato qualsiasi accordo a causa di considerazioni politiche”. Tuttavia, poche ore prima, il ministro della Difesa israeliano Gallant, aveva confermato che il centro di gravità si sta spostando verso nord, riferendosi alla “rinnovata attenzione” su Hezbollah. Ha poi aggiunto, “non abbiamo dimenticato gli ostaggi e non abbiamo dimenticato le nostre missioni nel sud: siamo impegnati nei nostri compiti e li stiamo svolgendo simultaneamente”.

Gli attacchi ad alto livello tecnologico avvenuti in Libano la settimana scorsa hanno neutralizzato molti combattenti di Hezbollah, ma anche coinvolto civili. Le esplosioni hanno ferito migliaia di persone, diffondendo il panico in tutto il Libano e suscitando preoccupazioni a livello internazionale sul fatto che Israele avesse rischiato di aumentare ulteriormente le tensioni nella regione. Scosso da quegli attacchi e dall’attacco di venerdì, Hezbollah ha risposto domenica con un attacco missilistico che è andato più in profondità nel territorio israeliano rispetto alla maggior parte dei suoi precedenti. Oggi la situazione appare veramente preoccupante e anche l’Unione Europea ha invitato tutte le parti interessate a evitare una guerra totale che avrebbe pesanti conseguenze per l’intera regione.
Anche l’alleato più fermo e affidabile di Israele, gli Stati Uniti, sembrava allarmato dal fatto che i negoziati per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi a Gaza (attività che sta conducendo, con Egitto e Qatar) sarebbero ora messi da parte a causa dell’esplosione dei cercapersone in uso ai terroristi in quanto i negoziati erano già complicati per la morte dei massimi leader di Hamas, Hezbollah e di altri gruppi palestinesi come la Jihad islamica.

“Qualsiasi cosa di questo tipo, per definizione, probabilmente non va bene in termini di raggiungimento del risultato che vogliamo, che è il cessate il fuoco”, ha detto mercoledì in Egitto il Segretario di Stato USA Antony Blinken, quando gli è stato chiesto se l’attacco avvenuto in Libano rendesse i colloqui a Gaza più difficili. Un altro inviato americano, Amos Hochstein, era in settimana in Israele per sensibilizzare Tel Aviv a evitare un’altra escalation delle tensioni con Hezbollah anche perché’ parrebbe che ci siano disaccordi di Washington con gli israeliani sulle tattiche e su come misurare il rischio di escalation.
Al Consiglio israelo-americano a Washington è apparso chiaro che gli americani vogliono una soluzione diplomatica nel nord. Gli Stati Uniti collaborano da anni con Israele per rafforzare le relazioni con gli stati vicini scettici o ostili.

Nel 2022, ad esempio, gli Stati Uniti hanno sostenuto un accordo per consentire alle compagnie occidentali di esplorare la ricerca di gas naturale nel territorio conteso tra Israele e Libano, dove, ve ricordato, Hezbollah fa parte del governo. Inoltre l’amministrazione Trump era stata l’ispiratore della mediazione che ha portato agli storici accordi di Abraham nel 2020. Accordi che hanno normalizzato le relazioni diplomatiche tra Israele e Bahrein, Marocco, Sudan ed Emirati Arabi Uniti.
Sfortunatamente, le recenti speranze che l’Arabia Saudita accettasse finalmente di aderire agli accordi sono state deluse la scorsa settimana quando il principe ereditario Mohammed bin Salman, in un discorso in nome del re Salman, ha nuovamente affermato che non ci sarebbero state normali relazioni diplomatiche con Israele finché la Palestina non fosse stata riconosciuta quale stato indipendente.

Tel Aviv non negozia direttamente con Hamas o Hezbollah (vogliono entrambi la cancellazione di Israele) che l’Occidente considera organizzazioni terroristiche. Inoltre, non negozia con l’Iran, che sostiene entrambi i gruppi terroristici così come gli Houthi nello Yemen. Israele e i suoi alleati affermano che è irrealistico e ingenuo aspettarsi sforzi diplomatici con gruppi che stanno cercando di porre fine alla sua esistenza.
I contatti diplomatici di Israele con gli avversari vengono, quindi, generalmente condotti attraverso intermediari, principalmente stati arabi del Medio Oriente, ma anche Stati Uniti e paesi europei.
Gli esperti della regione affermano che i tentativi di diplomazia con l’Iran non equivarranno mai a più di un cessate il fuoco, a patto che le ambizioni dell’Iran non cambino e rinunci a quell’ambizione di distruggere Israele. Certamente va sempre tenuto a mente che caratteristica distintiva di Israele, fin dalla sua creazione nel 1948, è stata quella di utilizzare mezzi militari ed economici per “contenere” i suoi vicini.
Molti in Israele ritengono che Hezbollah continuerà i suoi attacchi finché i combattimenti a Gaza non finiranno e/o gli ostaggi israeliani non saranno liberati in cambio del rilascio dei prigionieri palestinesi. Anche se Israele considerasse possibile un esito favorevole dei negoziati, un accordo di pace sembra fuori portata in gran parte a causa del rapporto, nella migliore delle ipotesi, difficile tra Hamas a Gaza e l’Autorità Palestinese in Cisgiordania.

Da ricordare che durante l’amministrazione Obama è fallito un tentativo di accordo (nel 2014) così come una proposta dell’amministrazione Trump, è stata categoricamente respinta dai funzionari palestinesi.
C’è comunque in Israele chi crede che sia giunto almeno il momento di concentrarsi sulla negoziazione della fine della guerra a Gaza e di trovare un compromesso con Hezbollah che permetta ai cittadini di tornare alle loro case nel nord di Israele. C’è chi preferirebbe negoziare, piuttosto che combattere considerando il combattimento, se inevitabile, sia ultima risorsa.
La diplomazia rimane ancora una speranza, diamole credito!


Giuseppe Morabito
 
  


 
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