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foto di: NDCF
Accordi Abramo e Medio Oriente. A Roma, la NATO Foundation accende i riflettori sul Processo di Pace
Ne parla il generale Giuseppe Morabito Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation

10-10-2022 - Sono passati poco più di due anni dalla firma degli Accordi di Abraham, che hanno “normalizzato” le relazioni diplomatiche tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e, potenzialmente, il Sudan, il 15 settembre 2020. Questo grande successo dell’amministrazione Trump ha ottenuto risultati contrastanti nel progresso dello sviluppo delle relazioni. L’attesa normalizzazione ha aperto nuove opportunità per la cooperazione in materia di difesa e sicurezza, in particolare tra Israele, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti, che condividono una prospettiva comune sulla minaccia alla sicurezza rappresentata dall'Iran. In queste ore proprio l’Iran attraversa una crisi profonda per le proteste portate avanti per contrastare la vergognosa condizione in cui “sopravvivono” le donne iraniane. Siamo ora nella terza settimana consecutiva di estese manifestazioni a livello nazionale e proteste degli iraniani in tutto il mondo contro la legittimità politica della Repubblica Islamica in Iran. In questo momento le manifestazioni si stanno rapidamente trasformando in rivolte radicali contro l'esistenza stessa del governo con i manifestanti che cantano "questa non è più una protesa, è l’inizio di una rivoluzione". È ancora troppo presto per dire a cosa porteranno queste proteste o se avranno successo, ma sono già le più lunghe in termini di durata e le più grandi in termini di partecipazione popolare che si sono mai viste nel Paese a guide sciita.
Tornando agli Accordi, la successiva intesa per organizzare il Forum del Negev, che ha anche inserito l'Egitto nella coalizione degli Accordi di Abraham, ha offerto ulteriori possibilità di cooperazione su interessi condivisi, tra cui energia, sicurezza alimentare e idrica, salute e altre materie.
Comunque, sussistono ancora alcune “carenze” nel livello di cooperazione. In particolare, nonostante l'obiettivo iniziale degli organizzatori, la cooperazione tra Israele e i suoi partner arabi non è riuscita a produrre miglioramenti tangibili nella eterna crisi israelo-palestinese. Questo potrebbe cambiare, poiché il Forum del Negev ha anche incluso, come elemento della sua agenda, l'adozione di misure per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi. Inoltre, gli israeliani sono ora, probabilmente, più cauti nella gestione delle relazioni con i palestinesi per evitare conflitti con i loro nuovi partner arabi. Ma ogni vero cambiamento per i palestinesi è stato finora poco visibile e la possibilità che le elezioni del 1° novembre in Israele si concludano con il successo della destra conservatrice potrebbe mettere il cambiamento in atto in “stallo”.
Al momento gli Accordi non sono riusciti a attirare la partecipazione di nuovi membri. Nonostante un certo ammorbidimento della sua posizione sulle relazioni bilaterali, anche nell'area della cooperazione nel settore della difesa e dell'apertura del suo spazio aereo all'aviazione israeliana, l'Arabia Saudita ha mantenuto fermo il suo impegno per la preesistente Arab Peace Initiative (API). Come ha precisato il ministro saudita per gli affari esteri, l'API afferma che "la pace arriva alla fine del processo, non all'inizio". Anche quegli stati del Golfo come l'Oman e il Qatar che hanno mantenuto a lungo relazioni quasi de jure con Israele hanno finora rifiutato di seguire gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain nella formalizzazione dei loro legami.
Dal punto di vista israeliano, potrebbero essere sufficienti miglioramenti incrementali nei suoi legami con gli stati del Golfo Arabo. Nonostante la loro espressa adesione all'API, i sauditi sono stati disposti ad adottare misure di normalizzazione lente e su piccola scala prima che ci sia una piena risoluzione della questione israelo-palestinese. Come notato sopra, la cooperazione in materia di sicurezza nel Mar Rosso è un'area in cui i sauditi hanno dimostrato la volontà di lavorare con Israele. E gli accordi sauditi che consentono il sorvolo del suo spazio aereo per l'aviazione civile israeliana e accettano viaggi diretti per i pellegrini dell'Hajj provenienti da Israele sono ulteriori indicatori di una posizione saudita più rilassata sulla cooperazione con Israele. Tel Aviv potrebbe anche considerare la possibilità di sviluppare relazioni con l'Arabia Saudita al di fuori degli accordi di Abraham a allo stesso modo, sia l'Oman sia il Qatar hanno continuato il loro impegno pratico di lunga data con Israele. Sebbene Doha abbia criticato gli Accordi di Abraham e ribadito il suo sostegno all'API, il governo del Qatar ha mantenuto i suoi "rapporti di lavoro" con Israele. Da parte sua, l'Oman ha mantenuto tranquille relazioni con Israele per quasi 50 anni, forse la più antica relazione di questo tipo tra Israele e uno stato del Golfo. La buona predisposizione omanita è caratterizzata in particolare dalla partecipazione israeliana al centro di ricerca sulla desalinizzazione del Medio Oriente con sede a Muscat.
Dopo due anni, i governi dei paesi partecipanti continuano a vedere gli Accordi di Abraham positivamente come un progresso dei loro interessi nazionali e la normalizzazione ha aperto le porte a elementi del settore privato, in particolare negli Emirati Arabi Uniti, che erano ben posizionati per sfruttare le risultanti opportunità commerciali e commerciali bilaterali. Gli Accordi devono ancora trovare un solido radicamento negli atteggiamenti delle popolazioni arabe, fatta eccezione per il Marocco, dove recenti sondaggi hanno rilevato che solo l'11% della popolazione considera Israele una minaccia. L’opinione pubblica araba generalmente continua a vedere Israele in una luce negativa, in gran parte sulla base alla percepita incapacità di Tel AViv di risolvere la questione palestinese. Questa prospettiva negativa rende senza dubbio i decisori di altre capitali arabe, in particolare Riyadh, riluttanti ad andare avanti verso la normalizzazione. Il rischio, quindi, è che l'assenza di progressi sul fronte palestinese porti alla fine a percepire gli Accordi di Abraham come un'altra “pace fredda”.

In concomitanza con il secondo anniversario della stipula degli Accordi presso il MAXXI di Roma, la NATO Defence College Foundation (NDCF) ha organizzato il giorno 11 ottobre pomeriggio, l’ottava edizione della serie di conferenze annuali che la Fondazione dedica al Medio Oriente e al Nord Africa. Il progetto Arab Geopolitics intende riunire regolarmente decisori politici e analisti provenienti dal mondo arabo per discutere i più recenti sviluppi strategici nell’area e le loro implicazioni a livello di sicurezza regionale e internazionale. A guidare il dibattito di quest’anno, la volontà di esplorare a fondo l’inedito processo di normalizzazione che sta interessando sempre più Paesi dell’area MENA: articolati su tre sessioni, i lavori vedranno gli interventi di 18 specialisti che affronteranno i temi in agenda da una prospettiva innanzitutto regionale.
Un primo panel analizzerà le principali direttrici politiche dell’area, soffermandosi sul possibile ruolo della NATO e dei suoi partenariati in Medio Oriente e in Nord Africa, nell’ottica di un graduale superamento della frammentazione regionale. Il secondo si concentrerà proprio sul caso concreto degli Accordi di Abramo mentre il terzo si focalizzerà sulla lotta alla criminalità organizzata, con un’attenzione specifica al Nord Africa e al Sahel cercando una risposta a domande come quella se può un processo di normalizzazione fornire nuove strategie e strumenti utili e, inoltre, capire come rilanciare e rafforzare la cooperazione regionale a livello di sicurezza
Sarà possibile seguire l'evento esclusivamente in presenza e in lingua inglese (sarà comunque disponibile la traduzione in italiano).

Per accreditarsi contattare la NDCF all’indirizzo:
ndcf.pressmediarelations@gmail.com

Giuseppe Morabito
 
  
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