Afghanistan, che Allah ti protegga
Ufficialmente chiusa la missione NATO con l’ammaina bandiera simbolico nell'hangar di Camp Arena ad Herat
fotografie di: Cybernaua
10-06-2021 - Difficile cominciare un reportage sulla situazione di un Paese che ha scalfito il nostro cuore ad ogni nostra missione giornalistica. Amiamo l’Afghanistan ed il suo popolo forte e determinato che ora saranno lasciati soli ad affrontare le continue azioni terroristiche dei taliban.
Lasciati soli, ma non abbandonati, da quanto abbiamo capito ascoltando i discorsi delle autorità politico-militari italiane presenti alla cerimonia di chiusura, il giorno 8 giugno scorso, ad Herat, in Campo Arena.
Nell’hangar adibito ad accogliere la breve cerimonia, eravamo presenti anche noi, insieme al tenente colonnello MOV Gianfranco Paglia, con il gruppo di quaranta giornalisti.
Eravamo stati invitati ad assistere e siamo giunti ad Herat in netto ritardo rispetto al programma stabilito.
Siamo giunti nell’ora in cui era prevista la partenza per il rientro in Italia.
Il ritardo dovuto all’improvviso e inaspettato diniego al sorvolo dello spazio aereo da parte degli Emirati Arabi, che ha costretto la comandante del Boeing 767 KC del 14° gruppo di Pratica di Mare ad elaborare velocemente un cambio di piano di volo che ha richiesto comunque molte ore di volo in più rispetto al previsto.
Ad attendere il nostro arrivo (fatto assolutamente inedito, dato che sempre sono i giornalisti ad attendere l’arrivo delle autorità) erano il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, il capo di stato maggiore della Difesa generale Enzo Vecciarelli, il comandante del COI (comando vertice interforze) generale Luciano Portolano ed il comandante della Brigata Folgore, generale Beniamino Vergori, al Comando del Taac-West Resolute Support e dell'ultimo contingente ad operare in Afghanistan.
Ci aspettavano per incominciare la cerimonia dell’ammaina bandiera simbolico a dichiarare formalmente chiusa la missione in Afghanistan.
Un primo gesto significativo, accompagnato dalle note del “silenzio”, il ricordo dei cinquantatré caduti italiani che in terra afghana hanno sacrificato la propria vita nella ‘’missione di pace’’ e dei circa 700 feriti.
Ha preso poi la parola il comandante Beniamino Vergori Aquila 1:
“Mi sia consentito condividere poche parole riguardanti il tempo consumato insieme qui in Afghanistan ... in questo momento molto impegnativo della missione della Nato Resolute Support.
In primo luogo, i nostri più profondi e intimi pensieri sono rivolti a tutti coloro che hanno compiuto l’estremo sacrificio nell’esercizio del loro dovere, civili e militari, locali, delle forze della coalizione e della comunità internazionale, da decenni impegnata in Afghanistan; anche se la nostra missione sta per finire, il loro ricordo vivrà per sempre e il loro sacrificio non sarà mai dimenticato.
Mi rivolgo alle autorità politiche e militari italiane oggi convenute, ringraziandole profondamente per avermi dato l’opportunità di essere alla guida di questa eccezionale squadra, durante quest’ultimo mandato della missione nell’area occidentale dell’Afghanistan, molto differente rispetto agli altri, un’esperienza vissuta senza interferenze!”
//www.cybernaua.it/video/video.php?idvideo=223
La differenza è stata anche notata da noi, rendendoci subito conto di come apparisse ancora più grande, immenso lo spazio di Camp Arena. Sempre lo stesso colore della sabbia, la stessa polvere, lo stesso filo spinato, gli stessi Hesco bastion… ma tutto avvolto nel silenzio opprimente del momento dell’abbandono.
Chiusi i bar ristoro ove giovani afghani assunti dal contingente italiano sapevano preparare un ottimo cappuccino; chiusi i luoghi in cui si poteva gustare una pizza, dal sapore italiano che rendeva meno pesante la vita di chi stava per lungo tempo estenuante impegnato in missione; nessuno per per le ‘’vie’’ di Camp Arena protette dai numerosi Hesco Bastion a renderci il saluto …
Vergori ha poi continuato: “Ringrazio tutti i comandanti ai vari livelli, tutto il personale di tutte le nazioni contributrici, tutto lo staff e tutti i militari di tutte le categorie che hanno servito sotto i colori e le insegne di Taac-W/Com Herat, che mi hanno sostenuto, con il loro diuturno impegno, in questo momento molto impegnativo, come tutti possono immaginare; ottimi risultati si possono raggiungere quando, dietro le quinte ci sono persone, uomini e donne, che non si lamentano mai, eccezionalmente motivati e instancabili, donne e uomini sorretti da saggezza e volontà realizzatrice, che hanno aiutato e sostenuto nella continua opera proiettata sempre al raggiungimento degli obiettivi prefissati, con impegno sicuro e certo, in ogni singolo giorno speso al servizio nel teatro delle operazioni.
Ora, l’impegno militare della Nato e delle forze della coalizione è terminato. Il futuro di questo splendido Paese è nelle mani degli Afghani, popolo ricco di storia, orgoglioso tenace e resiliente, che attraverso l’attaccamento nei confronti della propria Patria e supportato dalle autorità governative e militari assicurerà ogni possibile sforzo affinché l’Afghanistan non ritorni a essere più un rifugio sicuro per il terrorismo internazionale.
Questo non è un sogno; è realtà per tutti coloro che hanno servito in un siffatto ambiente, dal ritmo elevatissimo”.
Ha continuato sottolineando come la partecipazione dei componenti di tutte le Forze Armate, con alti standard operativi, abbia contribuito a render il lavoro efficiente, dimostrando come le forze armate italiane siano di alto livello.
E di questo numerose volte fummo testimoni, ricevendo parole di stima e di gratitudine da parte di Afghani nei confronti degli Italiani.
Lasciamo dunque la missione, certi che le Forze di sicurezza afghane sono in grado di reagire autonomamente, ha ancora detto Vergori, sottolineando che i livelli di violenza particolarmente elevati nel settore ovest del Paese (quello sotto la responsabilità del comando italiano, per intenderci) hanno fatto sì che le forze locali si siano rafforzate, raggiungendo un’ottima capacità di controllo, assicurando una risposta immediata agli atti terroristici.
Vergori ha concluso citando una frase del libro “Il manuale del guerriero della luce” di Paulo Coelho:
“Quando arriva l’ordine di trasferimento, il guerriero guarda tutti gli amici che si è fatto durante il cammino ... allora il guerriero della luce ringrazia i compagni di viaggio, trae un profondo respiro e va avanti, portando con sé i ricordi di un viaggio indimenticabile.”
Il generale Vecciarelli, dopo aver ricordato i cinquantatré Italiani caduti ed i numerosi feriti, ha espresso sentimenti di stima e gratitudine nei confronti di tutti i militari che son stati impegnati in questi venti anni di collaborazione con l’Afghanistan; i risultati ci sono stati grazie proprio alla loro professionalità e dedizione.
“ Oggi sono qui soprattutto per abbracciare il mio personale e dirgli grazie, per dirvi che l’impegno professionale, i sacrifici anche delle vostre famiglie e la dedizione sono stati apprezzati da tutti…”.
Il ministro Guerini, dopo aver ringraziato il comandante e il personale che in questi giorni chiuderanno la missione, nel ricordare gli anni da Isaf a Resolute Support, ha detto: “Un’attività di elevatissimo livello che in questi anni ha visto l’addestramento diretto o indiretto di più di 20.000 militari afghani del 207° Corpo d’Armata dell’Esercito Nazionale Afghano con cui abbiamo proficuamente operato in questi anni. Ma anche la realizzazione di circa 2200 progetti di cooperazione civile-militare. In oltre venti anni, si sono alternati in questo paese più di 50.000 militari di tutte le Forze Armate con assetti terrestri, aerei e delle forze speciali. Il mio commosso pensiero voglio rivolgerlo anche a tutti gli Italiani, civili e militari, che hanno perso la vita in Afghanistan”.
A proposito dell’uscita definitiva delle forze della coalizione dal Paese, ha sottolineato:
“Lasciamo oggi l’Afghanistan, dopo aver ottenuto sicuramente importanti risultati per la sicurezza internazionale e per la libertà, soprattutto del popolo afghano. Vi sono stati progressi nella vita democratica, nella tutela dei diritti umani, nell’accesso all’istruzione e nella parità di genere che hanno contribuito a marcare profondamente la società afghana. E’ stato fondamentale, in questo senso, proprio il lavoro svolto in supporto ed al fianco delle forze di sicurezza afghane. Non vogliamo che l’Afghanistan torni a essere un luogo sicuro per i terroristi. E non vogliamo che i diritti conquistati dalla società vadano persi. Dovremo continuare a supportare l’Afghanistan, non solo sotto il fondamentale profilo delle attività di cooperazione allo sviluppo e del rafforzamento delle istituzioni, ma ritengo che dovremo garantire anche continuità nell’addestramento e potenziamento delle Forze di Sicurezza Afghane, per non disperdere quanto ottenuto a così caro prezzo”.
Quindi, nel rispondere ad alcune domande sul tema della sicurezza degli interpreti che hanno lavorato ''Shona ba Shona '' spalla a spalla con il contingente italiano, ha confermato che essi saranno protetti dall’Italia, in un programma che viene chiamato ''operazione Aquila''. Circa 270, tra collaboratori e famigliari, potranno usufruire dell’ospitalità del nostro Paese, a partire dalla metà di Giugno; anche un altro gruppo, circa 400 persone collaboratori non solo del contingente italiano, ma di aziende o Enti italiani che sono stati impegnati in Afghanistan, saranno aiutati e, una volta entrati in Italia, dopo la quarantena prevista dalle regole anti Covid, saranno affidati al sistema di assistenza, accoglienza e integrazione: “Tutto ciò che può esser fatto, sarà fatto”.
Quindi, terminati gli interventi ufficiali, la cerimonia dell’’’ammaina bandiera’’ delle tre ultime bandiere rimaste rappresentanti dei contingenti incaricati di chiudere la missione: Albanese, Americano, Italiano.
I tre vessilli, scesi dalle rispettive aste e piegati dai soldati, hanno reso definitiva la decisione.
E questo è il resoconto doveroso della cerimonia di chiusura missione cui abbiamo assistito.
Addio Afghanistan, abbiamo pensato noi, che Allah ti protegga.
Dunque, per decisione politica, entro presumibilmente il 4 luglio o alla fine del mese prossimo, Camp Arena, sede del Taac-W Command Resolute Support, sarà totalmente smobilitato e affidato alle forze afghane.
Già a causa del Covid, seguendo le direttive del governo italiano, nel 2020 erano stati chiusi i luoghi in cui ‘’ci si affollava’’, come palestra, bar, ristoranti, con la perdita di lavoro per i giovani afghani, assunti sin dall'inizio della missione nelle attività di ristoro. Molto ridotta l’attività della base, che non fosse legata prettamente agli impegni principali della missione.
La palestra chiusa, non ha fatto perder d’animo i parà: due sbarre all’aperto, pesi e tanta corsa intorno alla base!
Ma lo scenario dell’abbandono è già evidente agli occhi di chi, come noi, ha frequentato Herat per lungo tempo, in ogni stagione, dalla missione Isaf a Resolute Support.
Che emozione rivedere il Bunker 71 ove, novembre 2018, ci rifugiammo una notte durante un ''Rocket attack''.
Per tanti anni, abbiamo calpestato e respirato la sottile sabbia afghana, a fianco dei nostri soldati nelle Fob o nelle basi di comando, Kabul ed Herat; e compiuto esperienze indimenticabili nelle nostre numerose uscite nella città di Herat, a contatto con la gente, ospitale, vivace, appassionata.
A Camp Arena, ci si trovava la mattina al ‘’bar Ducati’’, creato da un Italiano dell’impresa italiana R.I. S.p.A. che ha costruito tutte le Fob in Afghanistan, per il primo caffè e per scambiare due parole con il giovane afghano Omid, grato al contingente di poter lavorare in base.
Seguivamo le attività, partecipavamo alle perlustrazioni oppure, dopo aver siglato la liberatoria, insieme al nostro fidato fix ‘’Maradona’’ ci immergevamo nella vita della città di Herat a parlare con la gente, a visitare i luoghi storici, ad entrare nei negozi, a bere il thai bollente o a gustare i piatti tradizionali in qualche ristorante consigliato dal fix.
Abbiamo ascoltato i racconti, i sogni su un futuro migliore di giovani costretti a fare il barista per sopravvivere, nonostante la laurea in giurisprudenza! Incontrato ed intervistato colleghe giornaliste, ascoltato i loro racconti sulla difficoltà di poter svolgere il proprio lavoro…o sulla scarsa o nulla attenzione ai diritti delle donne afghane.
Scambiato lettere con donne sottomesse e violentate da una cultura che l’integralismo ha imposto e che, da oggi, non potranno che essere soggette sempre più a violenze fisiche e psicologiche. Non siamo noi a dirlo, ma risaliamo ad una previsione fatta dal Maria Bashir, durante un’intervista che ci rilasciò allorché già si parlava di Exit Strategy e ad alcuni commenti autorevoli di donne impegnate nel campo dei diritti umani.
‘’Maradona’’ non c’è più, rimasto vittima dell’esplosione di uno Ied, mentre collaborava con il contingente americano.
Omid, invece, lo abbiamo rivisto proprio ora: ha rilasciato un’intervista dopo la cerimonia dell’ammaina bandiera nell’Hangar di Camp Arena.
E' molto contento, perché farà parte dei 270 collaboratori afghani che saranno messi al sicuro dal governo italiano, come ha spiegato il ministro Guerini.
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Tutto il lavoro svolto dall’Italia, in partecipazione alla coalizione della Nato, è stato ammirevole, importante, faticoso, pericoloso, impegnativo anche dal punto di vista economico.
Ci chiediamo, però, come possa essere il futuro degli Afghani.
Non sono mai cessati gli attacchi terroristici dei taliban o come ultimamente la correttezza politica voleva chiamarli: Insurgents.
Notizie di violente esplosioni, in tutto il Paese, con feriti e morti, sia di appartenenti alle forze di sicurezza, sia di civili, donne, bambini, studenti quasi ogni giorno vengono date sui social media…
I taliban si sentono vincitori, la Nato non si sente perdente. Sta di fatto che l’Afghanistan è ancora molto lontano dall’idea di pace.
Nei giorni che seguiranno, continuerà l’attività di ‘’smontaggio’’ delle strutture che verranno riportate in Italia.
La grande targa verde con i nomi dei caduti italiani “Siete sempre con noi”, cui ogni volta rendevamo omaggio, è già stata smobilitata: a breve anche i cippi posti nella piazza Italia e il monumento ai caduti saranno smontati e portati in Patria.
Come rientreranno in Italia, se agli aerei militari sarà vietato il sorvolo dello spazio aereo da parte degli Emirati Arabi, come è capitato a noi giornalisti, nel volo di andata e ritorno da Herat? Dovranno percorre un tragitto più lungo raggirando gli UAE, passando da Saudi Arabia e confini col Pakistan?
No, non ci saranno questi problemi, perché si potrà usufruire dei velivoli russi, Antonov o Ilyuscin, che nello spazio aereo emiratino non trovano intoppi.
Addio Afghanistan buona fortuna.
Maria Clara Mussa
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