14:51 sabato 23.11.2024
Termina la missione in Afghanistan
Si chiudono i venti anni di ‘’missione di pace’’ che hanno visto l'impegno di Forze Armate e aziende italiane
fotografie di: Daniel Papagni

28-05-2021 - Per l’11 Settembre prossimo, gli Americani rientreranno in Patria. E pure gli Italiani. Termina la missione in Afghanistan.
Il termine della missione di pace che per venti anni ha visto morire migliaia di civili e di soldati ora, agli occhi di molti analisti, appare come una disfatta, un cedimento della Nato di fronte alla determinazione dei Talebani di mantenere il dominio del Paese.
L’impegno dell’Italia in Afghanistan è incominciato nel 2001, con la missione multinazionale ISAF (International Security Assistance Force)”, che si impegnava di difendere Kabul.
Nel 2003, su decisione del Consiglio di Sicurezza, il mandato dell'ISAF fu esteso anche al resto dell'Afghanistan.
ISAF, durata dodici anni circa, è terminata nel dicembre 2014, con l’inizio della Resolute Support Mission, in previsione della “Exit Strategy” e tuttora in atto, sino alla data del prossimo undici settembre, allorché si chiuderà la missione.
Le attività della coalizione internazionale nei confronti della popolazione e delle forze di sicurezza afghane sono state molteplici e di varia natura.
Partecipazione attiva ai controlli contro il terrorismo; addestramento delle forze di sicurezza afghane e partecipazione al loro fianco nella lotta ai talebani; costruzione di strutture come pozzi, scuole, ospedali a favore della popolazione. Ed in tutte le attività gli Italiani hanno dato un contributo altissimo, sia in termini di sacrificio della propria vita, sia in termini di attività verso il benessere della popolazione che ha reso gli Italiani amici apprezzati dal popolo afghano.
Per operare nel Paese, le forze della coalizione sotto l’egida della NATO, oltre ad avere organizzato il comando nella capitale Kabul e ad Herat, hanno creato basi operative avanzate in varie province dell’Afghanistan, le cosiddette Fob (Forward Operating Base).
Allorché si è trattato di attuare il programma “Exit Strategy”, cioè l’inizio della riduzione delle attività e del numero dei soldati in vista dell’uscita dal Paese, a partire dal 2012, assistemmo alla consegna di alcune basi alle autorità afghane: Farah, Shindand, Bala Murghab, luoghi di avamposto in cui i nostri soldati avevano trascorso periodi intensi respirando la polvere, calpestando il fango; cinquantaquattro di loro sacrificando la propria vita.
Da Bala Murghab, postazione a nord di Herat nella provincia afghana di Badghis, le Forze Armate Italiane si sono ritirate nel settembre 2012, (un ripiegamento causato dai tagli della spending review e dalla prevista dismissione di ISAF da tutto l’Afghanistan, la già nominata Exit Strategy); per non lasciare ai Talebani materiali e strutture, parte della base è stata distrutta.
Per quanto riguarda Farah, trascorso poco tempo dalla sua consegna agli Afghani, con una cerimonia per altro molto forte e commovente, la base è stata distrutta, non si sa da chi, sventrata, con porte scardinate e servizi divelti…
All’attività dei Paesi aderenti alla NATO, volta ad un processo di stabilità del Paese, hanno partecipato numerose realtà.
A fianco delle Forze Armate italiane, per la realizzazione dei progetti nei teatri operativi, hanno collaborato aziende italiane scelte per le loro competenze tecnologiche e strategiche.
In Afghanistan, una delle aziende maggiormente coinvolte, presente sin dall’inizio della missione ISAF, è la R.I. Group S.p.A. di Trepuzzi, (Lecce), il cui presidente, Salvatore Tafuro, affrontando coraggiosamente i rischi legati agli scenari afghani, insieme ai propri figli ha impegnato molte risorse sin dalle prime fasi degli approntamenti logistici delle strutture che hanno ospitato i nostri soldati in quella terra martoriata; la sua azienda, coinvolta nei progetti delle Forze Armate italiane e della Coalizione, si può considerare parte integrante della ‘’missione di pace’’, rappresentando l’Italia in ogni suo aspetto (il cosiddetto ‘’Sistema Paese’’) e realizzando sbocchi occupazionali locali, a sostegno della teoria che -dove c’è lavoro, le armi possono anche tacere-…
A proposito del “Sistema Paese”, Cybernaua realizzò un progetto editoriale, ''Afghanistan Impresa Italia" in cui, grazie alla raccolta di immagini scattate nel corso delle missioni giornalistiche in terra afghana, vi sono testimonianze del lavoro svolto dalla R.I.Group che, nella costruzione delle strutture nelle varie Fob, ha impegnato mano d’opera locale; questo è stato ulteriore motivo di apprezzamento da parte del popolo afghano verso l’Italia.
Con Salvatore Tafuro abbiamo avuto un interessante colloquio, in cui sono state ripercorse le fasi del lavoro svolto in Afghanistan, dalla posa della prima pietra nelle basi costruite dalla R.I.Group, sino alla loro dismissione, lasciate in dotazione alle Forze afghane a partire dal 2013, quando dalla Missione ISAF si è passati alla missione R.S. (Resolute Support).
Presidente Tafuro, dopo i lunghi anni di esperienza condivisa con le forze della Coalizione in Afghanistan, cosa prova alla notizia del ritiro da Parte della NATO?.
Grazie per l’opportunità.
La notizia di fine missione Afghanistan mi ha fatto sentire i brividi come il primo giorno in cui atterrai in areo a Kabul. Tanta emozione e tanta incertezza; oggi, con questa notizia di rientro di tutte le forze della coalizione, lasciamo questa popolazione in balìa delle lotte tra gruppi che si contenderanno il potere
”.

Ritrovarsi proiettato in una terra difficile e pericolosa come l’Afghanistan a cosa le è servito?
Ogni esperienza diventa patrimonio inalienabile per chi la vive. Questa nazione tanto difficile, quanto avvolgente, ti consente di crescere umanamente e imprenditorialmente; ti arricchisce di esperienze per affrontare situazioni complicate con più sicurezza e professionalità”.

L’esperienza maturata in Afghanistan è stata ripercorsa anche in altri scenari di crisi internazionali?
L’Afghanistan è stata una grande opportunità. Se sai operare in sintonia con la popolazione locale, diventa esempio di vita difficile, dove impari a convivere con il rischio apparente e calcolato, il rischio sorpresa e imprevedibile. Dopo, puoi affrontare qualsiasi tipo di situazione con molta più convinzione.

Cosa significa essere imprenditore in Afghanistan?
Fare impresa in Afghanistan è come fare l’esploratore. Occorre essere preparato ad ogni possibilità di sorpresa. Devi improntare il tuo operato con la massima lealtà, valorizzare ogni piccola risorsa umana locale ed entrare in empatia con la loro cultura, diventare uno di loro, quando sei con loro”.

Quali rischi si corrono?
Ci sono rischi tipici che ogni imprenditore deve affrontare nella sua quotidianità e c’è il rischio legato alle caratteristiche del Paese.
E qui ti devi integrare, sviluppare rapporti umani, farti apprezzare per la semplicità e la lealtà anche nelle piccole cose. Devi accettare di farti ‘’derubare’’ un po’ nelle trattative, ogni tanto anticipare $ 10.000 a qualche collaboratore per consegnarli al suocero o perché deve “comprarsi” la futura moglie
”.

Lei ha anche coinvolto la manovalanza locale con il principio che la forza lavoro è più forte dell’ingaggio delle armi; cosa ci può raccontare di questa esperienza?
Un popolo dilaniato dalla miseria si preoccupa essenzialmente di come sfamare la propria famiglia e non tanto di chi è il datore di lavoro. Per cui, fra un’opportunità di lavoro onesto e quello di fare uso di armi per ammazzare, sa bene cosa scegliere. Ho superato situazioni apparentemente impossibili grazie a molte persone (ex combattenti che ricevevano una misera paga) che per difendere il nuovo lavoro non esitavano a qualsiasi esposizione”.

E i rapporti con le nostre forze Armate?
Le nostre forze armate all’estero esprimono il meglio, sia a livello individuale che come missione; sono stato sempre confortato sia da Generali, Ufficiali che da tutti i nostri soldati; e per questo, li ho sempre nel cuore e non finirò mai di esprimere grande gratitudine”.

Lei è stato uno dei pochi presenti alla cerimonia di consegna della base di Farah alle forza afghane nel 2013, un pezzo di Italia in una delle zone più pericolose del Paese e di cui aveva posto la prima pietra; una base modello accessoriata per tutte le esigenze logistiche e operative. Come se la immagina oggi?
//www.cybernaua.it/photoreportage/reportage.php?idnews=4198
Farah è stata la mia più bella e affascinante esperienza imprenditoriale.
Nei primi giorni della sua costruzione, venne a verificare l’avanzamento lavori l’ammiraglio Folzer; alla partenza ci salutò calorosamente dicendo “che Dio ve la mandi buona”, una frase che è rimasta memorabile sull’albo d’oro che avevamo approntato per le visite e gli eventi importanti.
La consegna alle forze armate afghane fu un evento unico, assimilabile ad una Cerimonia importante e teatrale, da valere una storia da film.
Io con il caro amico Daniel Papagni e con l’inviato del TG di Rai 3 Ettore Guastalla ho seguito fino agli applausi e alle lacrime tutta la cerimonia, sino al momento in cui fu ammainata la bandiera tricolore accompagnata dall’Inno Nazionale.
Ricordo quei momenti in cui il cuore palpitava così forte che mi fecero sentire fiero e orgoglioso di essere italiano
”.

Pensa di poter tornare in Afghanistan un giorno come libero cittadino, sentendosi parte del Paese?
Questa domanda, la sera in cui fu consegnata la base di Farah alle forze afghane, me la fece Ettore Guastalla.
Con le lacrime e grande emozione gli risposi che avrei raccontato questa esperienza forte e unica ai miei nipoti, con i quali saremmo tornati a rivivere questi posti e incontrare quelle persone che mi avevano aiutato e adottato per un lungo periodo e che erano diventati la mia famiglia Afghana
”.
Maria Clara Mussa


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