Papa Francesco in Iraq
Nel suo viaggio apostolico il Santo Padre visiterà le città cristiane di Qaraqosh e Berthella devastate dal Daesh
fotografie di: Daniel Papagni
04-03-2021 - Domani, 5 marzo, Papa Francesco incomincia il suo viaggio apostolico in Iraq.
Il programma prevede, dopo una giornata a Baghdad ove atterrerà nell’aeroporto internazionale ed una giornata a Nassiriya, anche una visita ad Erbil, capitale della regione del Kurdistan iracheno, nella giornata di Venerdì 7 marzo, celebrando nel pomeriggio la Santa Messa nello Stadio ‘’Franso Hariri’’, in cui noi, nel settembre del 2017, ci trovammo ammassati in una folla travolgente che festeggiava la vittoria al referendum; quel Referendum che poi costò alla popolazione le ritorsioni del governo centrale di Baghdad.
Da Erbil, Papa Francesco si recerà a Mosul e a Qaraqosh e Barthella, luoghi cristiani che non potranno mai dimenticare le sanguinose battaglie contro l’ISIS.
Ad Erbil abbiamo svolto numerose missioni giornalistiche, nel periodo in cui si svolgeva la lotta contro il Daesh. Abbiamo potuto constatare le tragedie e le distruzioni subite dalla popolazione irachena e visitare numerose città distrutte.
Tra queste, proprio Qaraqosh e Bartellah, le città cristiane che saranno meta del Santo Padre.
L’occasione di recarci alcune volte in quelle città martoriate ci fu data dell’incontro con Abouna Yako, un padre Rogazionista italo iracheno nato a Qaraqosh, che si divideva tra la città natale ed Erbil, sia curandosi della comunità cristiana, sia dedicando parte delle sue forze ai profughi che, sfuggiti alle violenze dell’ISIS, avevano trovato asilo in una struttura al centro di Erbil.
Dopo aver visitato i campi di raccolta dei poveri derelitti, chiedemmo ad abuona Yako di accompagnarci in quelle città devastate che egli conosceva bene.
Nel percorso in automobile tra Erbil e Qaraqosh, intravedemmo mezzi delle milizie sciite, le loro bandiere nere e quelle degli Shabak (seguaci di Safawiyya).
Avvertivamo un clima teso.
Ci recammo, dunque a Qaraqoosh, la città in cui, prima delI’occupazione da parte del Daesh, abitavano circa 60mila cristiani e che, come la vicina Barthella, era stata presa d’assalto dai propugnatori della jihad.
Entrammo in Qaraqosh, trattenendo il fiato: tutto distrutto, tutto dello stesso colore della violenza e della morte.
Mentre percorrevamo le strade nere di fumo e colme di materiali di ogni genere devastati e abbandonati, ove si scorgevano resti di masserizie, di libri, di attrezzature di ogni genere che in alcune parti della città incominciavano ad essere parzialmente accantonati da ruspe, mi resi conto di essere testimone di una barbarie manifestata nel suo più profondo accanimento.
Il calore provocato dagli incendi devastanti era stato così forte da aver trasformato i vetri delle finestre in oggetti dalle forme più strane, durante il loro raffreddamento.
Anche le chiese, tutte violate.
Yako era legato particolarmente a quella in cui un tempo celebrava la santa messa per i suoi fedeli, ora un cumulo di macerie e di residuati di colpi di arma da fuoco, a migliaia nei cortili e nelle navate nere di fuliggine, insieme a statue decapitate.
Raggiungemmo la chiesa dell’Immacolata, la più antica: le colonne interne alte ed immense, a sostegno del soffitto nero di fuliggine, affumicate; libri bruciati, il cortile usato come campo d’addestramento al tiro.
Anche la chiesa di San Behnam e sorella Marta Sarah, in cui Yako celebrava la messa, era stata violata: con lagrime agli occhi Yako ci mostrò la distruzione del campanile…e scorgendo in terra la campana, volle farci udire i rintocchi, che in quel momento ruppero il silenzio di morte, come un grido di speranza, superando il rombo dei motori degli aerei di guerra che sorvolavano la città.
(Quella campana, tornando a Qaraqosh l’anno dopo, fu rimessa al suo posto, grazie alla determinazione di Yako)
//www.cybernaua.it/photoreportage/reportage.php?idnews=5982
Camminando tra distruzione e macerie ancora fumanti, sentivamo colpi d’arma da fuoco di cecchini ancora nascosti nella città.
L’odore acre di fumo penetrava nel nostro cervello, mentre nel cielo azzurro, luminoso, gli aerei militari continuavano i bombardamenti sopra Mosul.
A Mosul continuava la battaglia, a Qaraqosh la vita era spenta.
Si aggiravano, qua e là, alcuni abitanti che, trascorso un po’ di tempo dalla devastazione e dalla fuga, avevano avuto il coraggio di rientrare nella propria città per constatarne la devastazione, invitandoci a seguirli nella loro triste perlustrazione delle loro abitazioni.
Elencavano, come quando si è avvolti dai ricordi, le cose mancanti, le mura sconnesse e bruciate a quale stanza erano appartenute, dove essi avevano trascorso momenti felici in famiglia…
Un padre di famiglia, mentre la moglie si aggirava tra le rovine, camminando tra macerie, ci invitò ad entrare per offrirci un caffè, in un locale che era stata la cucina.
Entrammo, accolti da abbracci, sorrisi.
In un angolo della casa nera di fumo, miracolosamente un fuoco faceva bollire il caffè, un ottimo caffè.
“Abbiamo sette figli, uno in Australia, uno in Germania, altri qui con noi, con i nostri nipoti.
Non sappiamo cosa possa accadere e non sapremmo più dove fuggire, in caso ricominciassero a colpirci; dobbiamo essere ottimisti, perché dobbiamo pensare al futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti”, ci disse il padrone di casa, affiancato dalla moglie che con cenni del capo confermava la propria volontà di andar avanti, inshallah.
In mezzo a quella devastazione, stavano riprendendo possesso della propria casa, con la volontà e determinazione di renderla pulita, decorosa, abitabile.
Anche il futuro era nelle braccia di Allah.
“Inshallah, non possiamo prevedere, possiamo solo sperare che sia migliore di ora”.
//www.cybernaua.it/video/video.php?idvideo=108
Maria Clara Mussa
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