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''Modello dei Donbass Multipli'', allarmi da non sottovalutare
In caso di situazioni multiple e contemporanee, diventerebbe difficile per le organizzazioni esistenti poter intervenire efficacemente, con gravi rischi per la stabilità e coesione delle stesse
06-06-2019 - I recenti avvenimenti in Turchia, nel Mediterraneo orientale e nei Balcani, rafforzano i timori di instabilità regionale, da sempre una delle aree di riferimento per la sicurezza e lo sviluppo italiano. Fenomeni di destabilizzazione ed indebolimento delle istituzioni tradizionali (UE e NATO), legati all’influenza di Paesi terzi, assieme alla crescita di fenomeni politici nuovi, lascia intravvedere un nuovo scenario con il quale i paesi membri delle istituzioni di cui sopra, dovranno necessariamente confrontarsi.
Nuove minacce, che si manifestano come un mix di azioni di soft e hard power da parte di entità statuali eurasiatiche ed extra europee, fenomeni non statuali a forte base ideologica (terrorismo), nazionalistica ed etnica (separatismi), politica. A questi si aggiungono i massivi eventi demografici (immigrazione), in alcuni casi organizzati per scopi strategici, come nel caso dell’alterazione etnica di intere aree, allo scopo di renderle omogenee al Paese occupante o sponsor.
Questi fenomeni hanno generato un quadro strategico inedito per le istituzioni europee ed atlantiche. Situazioni che potrebbero anche portare alla creazione di aree di instabilità, geograficamente delimitate e sotto il controllo di entità pseudo o para statali che, anche se non internazionalmente riconosciute (si veda ad esempio la situazione in Donbass o in Ossetia), potrebbero disporre di significative capacità militari e di intelligence, anche grazie al supporto tecnico e logistico di paesi sponsors. Come nel caso di parte illegalmente occupata di Cipro o dello stato de facto in via di formazione nelle aree di Afrin ed Al Bab in Siria del Nord (Rojava curda). Fenomeni che non possiamo escludere possano moltiplicarsi e verificarsi in modo contemporaneo, in tutta la regione data la forza economica e militare dei Paesi che oggi si confrontano sempre più apertamente con le istituzioni atlantiche ed europee. Un fenomeno che possiamo definire con un nome simbolico: “Modello dei Donbass Multipli”.
In caso di situazioni multiple e contemporanee, diventerebbe difficile per le organizzazioni esistenti poter intervenire efficacemente, con gravi rischi per la stabilità e coesione delle stesse.
Molti gli allarmi risuonati negli ultimi mesi.
Ad aprire le danze è stato il Primo ministro bulgaro Boris Borissov a marzo 2018, che ha chiesto un’azione maggiormente incisiva sia all’Unione Europea che alla NATO. Citando le parole dello stesso Borissov: ‘’…altrimenti Russia, Turchia e Cina avranno mano libera nei Balcani stanno occupando spazio ogni giorno che passa….”.
Prima di Borissov un allarme simile era stato lanciato dal Primo ministro greco Alexis Tsipras, durante un incontro nel 2017 con l’omologo portoghese Antonio Costa.
Discorso che Tsipras tornò ad affrontare nel settembre del 2017 durante la visita del Presidente francese Macron. Alla lista degli allarmi legati alla crescente presenza cinese e russa si sono aggiunti più recentemente altri alti esponenti, come i Ministri della Difesa del Montenegro, Ivica Ivanovic ed il Ministro della Difesa della Macedonia Stevo Pendarovski.
Anche dagli USA sono arrivati avvertimenti precisi: l’ambasciatore USA in Grecia, Geoffrey Pyatt nel corso di un’intervista rilasciata alla TV di stato ellenica, nel marzo 2018, espresse la sua viva preoccupazione per l’attivismo russo nei Balcani: “La nostra preoccupazione per l’influenza maligna della Russia nei Balcani Occidentali è reale. Si fonda in quello che vediamo su di un vasto spettro di azioni da parte di Mosca: dalla manipolazione dell’energia a quella della Chiesa Ortodossa, sino al tipo di scontro frontale che abbiamo visto durante il tentato golpe in Montenegro nell’Ottobre del 2016”.
Non più tardi di ieri, il senatore democratico USA Bob Menendez, padre insieme al senatore repubblicano Marco Rubio, della cosiddetta “Dottrina Menendez” (già trattata in un precedente articolo per Cybernaua //www.cybernaua.it/news/newsdett.php?idnews=7204, ha dichiarato a chiare lettere che tale dottrina non risponde solo alle minacce turche, in quanto sarebbe necessaria anche se Ankara fosse un fedele alleato degli USA. Il problema infatti è più composito e riguarda anche le influenze e le mire di Russia, Cina, Iran.
Le prime risposte politiche e militari a tale situazione sono in pieno sviluppo e vedono vari tipi di azioni:
l’allargamento della NATO (ed in seguito della UE) a nuovi membri nei Balcani (Macedonia del Nord e forse Kosovo)
la possibilità, dichiarata dal Sottosegretario di Stato USA Matthew Palmer (responsabile per l’Europa Meridionale) di l’utilizzo del format del Trattato di Prespes fra Grecia e Macedonia del Nord anche per altre situazioni nell’area (Kosovo-Serbia)
Il processo di rimozione dell’embargo USA alla vendita di armi verso Cipro (proprio ieri il Sottosegretario Palmer era a Nicosia per questo motivo)
Il possibile allargamento della NATO a Cipro (già invitata alle ultime riunioni)
La creazione di formati di cooperazione trilaterale e quadrilaterale:
USA, Israele, Grecia, Cipro
Egitto, Grecia, Cipro
Armenia, Grecia, Cipro
Giordania, Iraq, Grecia, Cipro
La creazione, sempre su proposta del Congresso USA, del Centro per l’Energia del Mediterraneo Orientale, per ora riservato a USA, Grecia, Israele e Cipro, ma passibile di allargamento (e sarà allargato presto). Formato che prevede anche azioni volte alla sicurezza dell’area e che fa eco alle richieste del Ministro degli Esteri cipriota Nikos Christodoulides, per un “Organismo di Sicurezza e Difesa di Eastmed”
La creazione su iniziativa europea del Forum del Gas del Mediterraneo Orientale, cui partecipano Italia, Israele, Grecia, Cipro, Libano, Egitto ed Autorità Palestinese. Forum che nei prossimi mesi dovrebbe anche diventare un organizzazione internazionale legalmente riconosciuta. Forum al quale gli USA hanno chiesto formalmente di distaccare propri osservatori.
Accordi militari bilaterali, come il patto di dfesa tra Francia e Cipro, con apertura di un’ importante base francese a Cipro.
La posizione italiana, che recentemente si era mostrata indebolita e defilata, con messa in dubbio della pipeline Eastmed, ha ripreso vigore, dopo il discorso pronunciato due giorni fa dal nostro Ambasciatore a Cipro, Andrea Cavallari, che ha ribadito sia l’impegno italiano, sia il supporto alla sovranità cipriota sulla propria ZEE. Uno sviluppo molto importante.
Andiamo adesso a vedere gli aspetti attinenti alla questione Difesa.
Dal punto di vista delle capacità di difesa e sicurezza europee, va notato che un’evidente spinta alla promozione degli interessi nazionali da parte di diversi paesi membri, ha complicato ulteriormente lo status dell’area, generando frizioni fra alcuni dei partner maggiori (Italia/Francia) e fondati timori di futura instabilità di tutto il quadro regionale, nel quale non è possibile neppure escludere possibili scontri, fra alcuni degli stessi membri della NATO e della UE (Grecia/Turchia/Cipro). In questo quadro preoccupante, nel quale l’attuale struttura NATO potrebbe non essere sufficientemente efficiente da garantire la stabilità dell’area, e in attesa dell’effettiva e lontana costruzione della Difesa Unica Europea, diventa importante affrontare un dibattito sull’opportunità di affiancare a quelle esistenti (senza in alcun modo sostituirle nè ostacolarle), una struttura o organizzazione multinazionale nuova.
Questa struttura d’area potrebbe essere basata sulla progressiva integrazione delle capacità (in senso ampio e non solo strettamente militare) dei paesi maggiormente esposti alle minacce di instabilità ed aventi interessi strategici quanto più possibile comuni. Quali paesi? Possiamo pensare ad uno scenario nel quale Francia, Italia, Romania, Grecia, Bulgaria, Croazia, Slovenia, Montenegro, Albania, Cipro e Malta, decidano di integrare le proprie capacità industriali, logistiche, scientifiche, di difesa. Sotto l’indispensabile ombrello USA ed una stretta cooperazione e coordinamento con Israele, Egitto e Libano. Si tratterebbe quindi di un organismo che affiancando UE e NATO, potrebbe garantire maggior coordinamento ed efficienza in caso di crisi regionali, sgravando al contempo UE e NATO da compiti impropri o polticamente di difficile gestione, così contribuendo a non aumentare il carico di critiche e sospetti ai cui queste istituzioni sono soggette.
Anche in questo caso, come in quello delle forze armate europee si tratterebbe di creare e gestire un processo con un arco temporale non breve, potremmo ipotizzare un periodo di circa 15 anni per una piena integrazione, che parta da alcune funzioni di base (addestramento, programmazione) per confluire poi in una piena integrazione degli strumenti militari, infrastrutturali, scientifici e politici a supporto.
In questo senso l’integrazione balcanica e mediterranea, potrebbe costituire anche un interessante laboratorio esperienze a livello superiore (Bruxelles). Già in ambito NATO alcune funzioni hanno ricevuto impulso verso una maggior integrazione operativa ed addestrativa, costituendo un importante background di esperienze sui quali fare leva.
Una prima e molto preliminare valutazione dell’impatto di una tale organizzazione sulle capacità militari dei paesi membri, la si può ottenere utilizzando i dati resi disponibili da più fonti (NATO, Ministeri della Difesa). Attualmente gli undici Paesi europei coinvolti, non consideriamo quindi Israele, Egitto, Libano ed USA nel calcolo, destinano alla funzione difesa circa 67 miliardi di €/anno (valori 2017). Una cifra che, costituisce una dotazione rilevantissima.
La stessa cifra calcolata in PPP a valore 2018, aumenta a circa 80 miliardi di €, segnalando un dato molto interessante e cioè che lo sviluppo di attività basate nell’Est Europa, come a titolo di esempio, degli hubs manutentivi o di produzione di componentistica, aumenterebbero la capacità di acquisto implicita del budget cumulativo. Questo anche contando che una buona parte del budget francese è legato alle capacità nucleari, che resterebbero senza dubbio un asset nazionale di Parigi.
Tale redistribuzione dei carichi lavorativi contribuirebbe in maniera sostanziale a costruire il necessario consenso politico attraverso gli effetti su occupazione e sviluppo economico. Oltre ad evitare iniziative locali dispersive di risorse destinate a programmi nazionali a discapito di economie di scala, scopo e omogeneità delle dotazioni.
Ancor più significativa sarebbe una stima dei budget espressi in PPP Militare (Nazioni Unite, Assemblea Generale, Documento A/40/421, 1985, “Costruzione degli indici dei prezzi militari e PPP per la comparazione della spesa militare”). Dati che purtroppo al momento non risultano disponibili al pubblico.
E’ importante sottolineare che anche senza impopolari aumenti di spesa militare, ottimizzando la ripartizione dei budget esistenti secondo lo schema 25-25-50 (investimenti/operatività/personale), si avrebbe una cifra nominale ben superiore ai 10 miliardi di €/anno disponibile per nuovi investimenti. O altrimenti circa 15 miliardi PPP/anno.
Cifre tali da garantire un procurement di sistemi allo stato dell’arte, in numeri sufficienti a generare un ritorno importante alle aziende dei paesi interessati.
Considerando tre elementi principali, ovvero:
l’ eccessiva dispersione di modelli, sistemi e delle linee logistiche necessarie, con alta incidenza, specie ad Est di sistemi di origine sovietica
il numero di strutture ed unità doppie o ridondanti
La disponibilità di validi assets militari da parte dei paesi partecipanti ad un simile schema, nonché le capacità di deterrenza nucleare francesi ed US
I programmi navali comuni di Italia e Francia e alcuni progetti PESCO
diventa facilmente comprensibile come le capacità militari comuni potrebbero godere di un consistente miglioramento operativo e tecnologico, sfruttando le economie di scala e di scopo ottenibili con una miglior organizzazione di sistema e dalla dismissione di assets obsoleti ed unità ridondanti. Garantendo così l’ammodernamento e l’omogeneizzazione nel tempo di tutte le componenti operative. Qualità in cambio di minor quantità. Un’organizzazione simile dovrà essere oggetto di un Trattato di Mutua Difesa e Assistenza fra i Paesi membri, oltre che un Mandato politico ed operativo chiaro e ratificato dai Paesi membri, che definisca gli ambiti e confini operativi degli enti preposti allo sviluppo ed organizzazione di tale integrazione ed alla gestione politica delle situazioni di crisi.
Un altro argomento fondante che però esula dagli scopi di questa analisi di fattibilità preliminare. Tratteremo invece in maniera più specifica, in una serie di articoli dedicati, i temi geostrategici e di difesa relativi a questa proposta.




Marco Florian Enad
 
  


 
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