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06-02-2025 - Come psicologa, criminologa ed esperta in vittimologia, ho avuto l’opportunità di lavorare a stretto contatto con le scuole, affrontando temi legati alla discriminazione e alla difficoltà di integrazione. Durante la mia esperienza formativa, ho osservato come i pregiudizi e le barriere culturali possano emergere fin dalla giovane età, spesso in contesti quotidiani e apparentemente innocui.
Uno degli aspetti che mi ha colpito di più è il ruolo del cibo nei processi di inclusione ed esclusione: un elemento che per molti è semplicemente nutrimento, ma che per tanti altri è un simbolo identitario, culturale e religioso.

Mi sono trovata più volte ad ascoltare storie di studenti stranieri che, nei momenti di pausa pranzo, subivano sguardi curiosi o commenti denigratori riguardo ai loro piatti tradizionali. Ho visto bambini che si sentivano a disagio nel portare da casa il cibo tradizionale della propria cultura per paura di essere presi in giro. Altri ancora, pur di non sentirsi “diversi”, rinunciavano alle proprie tradizioni alimentari, cercando di omologarsi ai loro compagni. Questo genere di episodi, se non affrontato con consapevolezza, può alimentare un senso di isolamento e disagio nei ragazzi, portandoli a vivere la propria identità come un peso, anziché come una ricchezza.

Ecco perché l’educazione alla fratellanza interreligiosa non può e non deve limitarsi agli eventi istituzionali o alle singole giornate di sensibilizzazione. Deve diventare un impegno quotidiano, un percorso che parta dall’interno delle scuole e si radichi nelle comunità. Insegnanti, educatori e famiglie hanno la responsabilità di creare spazi di dialogo, dove ogni bambino e adolescente possa sentirsi accolto e valorizzato per la sua unicità.

Nel mio lavoro, ho cercato di promuovere attività che stimolassero la conoscenza e il rispetto reciproco: laboratori interculturali, momenti di condivisione gastronomica, spazi di dialogo aperto in cui i ragazzi potessero raccontare le proprie tradizioni senza timore di giudizio. Ho visto come, attraverso la scoperta e la comprensione dell’altro, si possano abbattere stereotipi e costruire ponti invece di muri.

Credo fermamente che l’integrazione e la fratellanza non siano concetti astratti, ma realtà che si costruiscono ogni giorno, attraverso piccoli gesti e scelte consapevoli. La scuola ha un ruolo fondamentale in questo processo: è il luogo in cui le nuove generazioni imparano a vivere insieme, a conoscersi e a rispettarsi. Se riusciamo a seminare nei giovani il valore della diversità come opportunità e non come minaccia, avremo contribuito a formare cittadini più consapevoli, empatici e aperti al mondo.

È un impegno che deve partire da noi adulti, con l’ascolto, l’educazione e l’esempio. Solo così potremo costruire una società in cui la fratellanza interreligiosa non sia un’utopia, ma una realtà concreta e vissuta

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